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Troppe parole inutili. La poesia sposa l'invettiva.

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Il silenzio poetico di Patrizia Valduga è durato sette anni. Dopo questo tempo, che appare infinito per chi assiste alla bulimia editoriale di tanti autori contemporanei, ecco il “Libro delle laudi”, l’intensa raccolta poetica uscita nella storica collana di poesia della Einaudi. Tanto silenzio, per colei che è probabilmente la più grande poetessa italiana, è equivalso ad altrettanto dolore. Un sentimento crudo, quasi impietoso, dovuto alla morte di Giovanni Raboni, compagno di vita e grande amore di Patrizia Valduga, a cui il libro è dedicato (“A Giovanni infinitamente amato”). E non a caso la nuova raccolta inizia con le liriche composte nei mesi di luglio ed agosto 2010 e già apparsa nella “Postfazione” agli “Ultimi versi” di Raboni. Sono i mesi della grave malattia del compagno tanto amato; i giorni di quella sospensione tra la vita e la morte in cui non sembra esserci altro spazio che per la preghiera, per l’accorata supplica di un miracolo: «Signore, è cosí grande il suo bel cuore/ che il mio al confronto si sente mancare./ Signore, è cosí grande nel suo amore:/ se tu sei amore lo devi salvare». Giovanni Raboni morì nel settembre di quel 2004 e per Patrizia Valduga fu l’inizio di un periodo assoluto di lutto interiore, se la definizione può avere un senso. In un’intervista di qualche anno fa la stessa Valduga ribadiva di vivere in una sorta di limbo, «… a mezza strada tra me e Giovanni, un limbo dove tutto è attutito, le percezioni, le emozioni. Resta forte solo un sentimento: il rimpianto, che può occuparti anche le ventiquattrore di un giorno». Un legame, fu il loro, benedetto dalla poesia ed anche per questo così forte, così cristallino. In un bellissimo ricordo che la poetessa ha scritto per il Meridiano dedicato a Raboni (“L’opera poetica”, curato da Rodolfo Zucco) si legge tra l’altro: «La forza della sua realtà interiore era la sua sola forza, e la passione per la letteratura era passione per la realtà, per la vita, perché la letteratura era per lui la dignità dell’uomo nel mondo, era comprensione del mondo e responsabilità nel mondo.
(Gianfranco Colombo – La Provincia di Como, Lecco, Sondrio e Varese – Pag. 51)

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