Secondo un antico detto, citato dai marinai di tutto il mondo, i naviganti non sono né vivi né morti. Il significato è evidente: ci ricorda che l’uomo, quando prende il mare lasciandosi la terraferma alle spalle, si pone a mezza strada tra la certezza dell’esistere e il mistero del destino oscuro. Affrontare il mare aperto è da sempre considerato la metafora della vita, il viaggio verso l’ignoto, l’avventura delle avventure, la sfida da cui scaturiscono le più incredibili esperienza. Dalla Bibbia e da Omero in poi, il mare è l’origine di immagini che hanno a che vedere con la nozione dell’incredibile e dell’incognito, quasi che l’oltremare coincida con l’oltretomba. Dal mare nascono miti luminosi e terribili, leggende fantastiche e paurose, scoperte di mostri e di paradisi perduti. Sicché il marinaio che ritorna a casa, dopo l’approdo, sente il bisogno di narrare, continuando la navigazione nella dimensione della memoria e della finzione letteraria. Le sue sono storie struggenti e fantastiche, resoconti di infamie e di eroismi, testimonianze di atrocità e di gesti coraggiosi.
Si pensi a Melville e a Conrad, che prima di diventare scrittori furono marinai. Si pensi a Verne, a Poe e a Stevenson; si pensi a come la grande letteratura abbia trovato nel mare l’ispirazione per racconti di straordinario fascino.
(Alfredo Chiappori – La Provincia di Como, Lecco, Sondrio e Varese – Pag. 41 – 22/01/2012)