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Joyce e la lingua oscena.

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La giornata di un irlandese, dalla colazione fino a sera, passando per un funerale, due pub, una spiaggia, un ospedale e un bordello. Messa così è semplice, ma narrata da James Joyce nel suo “Ulisse” (1923) è uno dei classici più incomprensibili. “Invece è un libro per tutti, è la critica che lo ha circondato di riverenza”, spiega Enrico Terrinoni, che ne ha curato la nuova traduzione (ed. Newton Compton, pp. 862, euro 9,90), con una lingua “più popolare meno aulica della vecchia, datata 1960”. A partire dalle parolacce: nel nuovo “Ulisse” se ne contano 87 (contro le 47 del vecchio, la traduzione di Giulio De Angelis).
(Irene Soave, Vanity Fair, pag. 161, 1-2-2012)

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