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SEBASTIANO VASSALLI

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Fra i «rivoluzionari e rei politici» o fra i «mattoidi e pazzi morali»: dove collocare il più lombrosiano degli scrittori italiani, Sebastiano Vassalli? Nella sua lunga conversazione autobiografica con Giovanni Tesio (Un nulla pieno di storie, Interlinea, 2010), Vassalli dichiara tra l’altro la propria posizione di integrale adesione alla frenologia lombrosiana. E questo, ammettiamolo, ci spiazza. Non di meno, per evitare il classico “tributo” a un fratello di intenti, deliri e visioni, dovremmo capire perché il Vassalli si dica assolutamente convinto che il buon Cesare (a tutt’oggi fra gli italiani più conosciuti all’estero, con buona pace del Presidente Napolitano – al quale, del resto, dedicheremo presto una noticina ne L’Ombroso) non si sbagliasse di molto a proposito di nasi, conformazioni craniche, fossette oculari o occipitali.
C’è nella fisionomia del Vassalli un combinato disposto «baffi-occhi-naso » che lo rende tipologicamente non banale. Tipologicamente non banale, quindi anarchico. In sede clinica antiromantica, suggerirei però di estrarre il profilo lombrosiano del Nostro da un particolare meno appariscente: le orecchie. Esattamente come il Vaillant osservato da Lombroso, dalle orecchie di Sebastiano Vassalli deduciamo, in maniera che a noi pare filologicamente ineccepibile, una diagnosi di isteria anarcoide, confermata (qui è il Lombroso de Gli anarchici – 1894- , a parlare)  «anche dalla sua sensibilità ipnotica, dal cader in catalessi appena era fissato nello sguardo da qualcuno. A  me pare che fosse un uomo squilibrato, passionato, che ebbe qualche accenno lieve di criminalità nell’infanzia e nella giovinezza, ma che piuttosto di un delinquente-nato era un vero fanatico appassionato. Di ereditario non gli conosco che le sue origini, l’esser nato da un amore semicolpevole e da parenti degenerati e cattivi. Altra causa è la non sempre vinta lotta colle infelicità della vita. Giovine, egli fu educato a stento e dovette domandare alla calzoleria il suo vitto, e fu fin d’allora un révolté. Dopo esser stato calzolaio fu successivamente pellettiere, courtier d’épicerie, maestro di francese. Soprattutto fu povero e fu spinto agli eccessi dalla miseria o almeno dalla sproporzione fra lo stato suo e quello che ambiva, sicchè preferì la morte. Egli lo confessa: “ Pourquoi avez-vous fait cela?” “ La société m’a forcé à le faire. J’étais dans une situation misérable. J’avais faim. Je ne regrette qu’une chose: ma gausse. Mais c’est égal, je suis content, et on fera bien de me guillotiner; je recommencerais dans huit jours”. La grande mobilità, l’instabilità che è propria degli isterici, egli la mise, oltreché nei mestieri che cambiò sì spesso, nelle sue convinzioni. Fu educato dai preti, e da fanatico religioso divenne un fanatico socialista. Più tardi, quando non poté farsi strada fra i socialisti, egli divenne anarchico. Ma sopratutto ve lo spinse la sua vanità. Il grafologo che guarda la sua firma è convinto che in lui la vanità, l’orgoglio e anche l’energia, siano le note dominanti : il gran “T”, le parafe, la scrittura montante ne sono una prova eloquente».
Vassalli ha a più riprese confessato di possedere una pistola, ha sputtanato il padre (è lui “il Merda” de L’oro del mondo, Einaudi, 1987), ha una maniacale ossessione per i particolari della Storia, ha un’altrettanto maniacale propensione per le storie, scrive da Dio, ma la sua è la grafia di un diavolo. E in più, fatto non da poco, ha mantenuto la licenza da venditore ambulante di libri, che «a fare lo scrittore non si sa mai»… Ricorda Vassalli: «Mio padre, che per dargli un nome chiamerò il Merda, era un uomo di trentatré anni, senza né arte né parte. (…) Non avrebbe voluto sposare la ragazza che aveva messo incinta, ma i fratelli di lei lo minacciarono e, in pratica, lo costrinsero. Alla fine i due scombinati si sposarono e mia madre, finché visse, mi attribuì la colpa e la responsabilità di quel matrimonio sbagliato. Se non fosse stato per me, e se io non mi fossi ostinato a rimanere dentro alla sua pancia, lei non avrebbe sposato il Merda!». Ne La notte del lupo (Baldini e Castoldi, 1998), racconta di uno strano turco, Ali Agca, che si aggira per San Pietro maneggiando una pistola. Difficile credere non stesse parlando di sé. Le orecchie di Agca, infatti, riportano alla tipologia vassalliana, anche se con meno accentuata proto tensione all’anarchismo.
Sia come sia, Vassalli è un tipo da cui guardarsi le spalle e non solo. Inquietante la chiosa di Lombroso, che come suo solito coglie nel segno. Venuta meno, in lui (Vaillant o Vassalli), la «speranza di riformare il mondo con un suo libro, crede di poterlo rivoluzionare con gettare una bomba nel parlamento».
 
 

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