La storia dell’esplorazione artica nel diciannovesimo secolo è raccapricciante. Lastroni di ghiaccio scricchiolanti, uomini che spariscono nel silenzio ammantato di bianco, e il Polo Nord che resta sfuggente. A quel tempo, nessuno sapeva se quel luogo stregato giacesse sulla terra o sul mare. Poi uno svedese ebbe una nuova idea. Se con la slitta e con le navi non si poteva approcciare il polo, perché non provare in volo? “The Ice Balloon. S. A. Andrée and the Heroic Age of Arctic Exploration” di Alec Wilkinson (Illustrato, 239 pp Alfred A. Knopf. 25,95 dollari) ci parla di quell’uomo, Salomon August Andrée, nato nel 1854 in una piccola cittadina 300 miglia a sud-ovest di Stoccolma. Andrée era alto e bello, con un naso grande (una caratteristica che, secondo Alec Wilkinson, “la gente in Svezia vede come augurio di successo”). Era, aggiunge Wilkinson, “distaccato, un po’ severo, e anche monumentale”. Assai legato alla madre, non si sposò mai. Convinto delle potenzialità del pallone a idrogeno, Andrée viaggiò in America, con l’intenzione di visitare la mostra scientifica alla Centennial Exposition di Filadelfia, dove fece la conoscenza dell’aeronauta John Wise. Da lì nacque l’idea che cambiò la storia delle esplorazioni.
(Sara Wheeler, The New York Times, 31 gennaio 2012)