Una quindicina di libri tra fiction e non fiction all’attivo, una serie di articoli pubblicati su riviste prestigiose come Granta, The New Yorker, McSweeneey’s e Vanity Fair, un paio di suoi racconti letti e studiati dagli allievi del corso di scrittura creativa che David Foster Wallace teneva all’università di Pomona (per lei Wallace stravedeva), premi, attestati e riconoscimenti vari: il palmares di Amy Michael Homes, scrittrice newyorchese originaria di Washington, tra le voci più innovative della letteratura americana degli ultimi due decenni almeno, devo riconoscere che fa un certo effetto. Con The Unfolding – Il Complotto, Feltrinelli, traduzione di Maria Baiocchi e Anna Tagliavini – la Homes torna al romanzo dopo più di dieci anni – Che Dio ci perdoni uscì nel 2012. Il tempo delle sue 459 pagine è compreso tra il 4 novembre del 2008 e il 20 gennaio del 2020: i giorni dell’elezione alla Casa Bianca di Barack Obama, il primo presidente afroamericano degli Stati Uniti. Lo sconfitto è John McCain, l’eroe del Vietnam che proprio Wallace celebrò in un reportage intitolato Up, Simba (Forza, Simba), inserito nella raccolta Considera l’aragosta. La sconfitta di McCain è un duro colpo per Big Guy – Il Grand’uomo – uno dei principali finanziatori della campagna repubblicana “È un’apocalisse ufficiale, il mondo sta andando all’inferno e non sono contento.” Big Guy, ultraconservatore bianco sulla sessantina (personaggio che sembra ritagliato su quello dei fratelli miliardari e ultrareazionari Charles e David Koch) è il protagonista assoluto di questa storia, a metà tra realismo e satira politica. Nella prima scena del libro lo vediamo seduto al bar di un hotel di Phoenix che, in preda al panico, prova a escogitare un piano per salvare il suo paese dalla deriva socialista nella quale sta per sprofondare “Qualcosa di grosso”, dice a un tizio che incontra al bar, “Una correzione forzata”. Sudato e fuori di sé, butta giù degli appunti confusi su un tovagliolo di carta: “Il piano di un patriota per salvare la nazione… Non lo facciamo per noi, lo facciamo per la nostra storia, per proteggere e preservare”. Nonostante si tratti di uno “stronzo”, di un uomo rozzo, di un razzista, Big Guy ci risulta simpatico, comico, in alcuni passaggi perfino tenero e fragile.
Il romanzo viaggia su due binari paralleli, quello politico e quello familiare, decisamente più intrigante del primo, specie per chi non è addentro alle questioni storiche degli States, e più armonioso anche dal punto di vista descrittivo. Il Grand’uomo ha una moglie alcolizzata (Charlotte), per un terzo del racconto ricoverata in clinica, e una figlia diciottenne (Meghan), che nel 2008 ha votato per la prima volta, una ragazza instabile, provata da un brutto pomeriggio trascorso in un bosco col suo cavallo Ranger dove un’altra studentessa tempo addietro era stata trovata morta. Meghan, che al padre corregge i congiuntivi, fa domande strane, nel finale del romanzo farà una scoperta devastante che rimetterà in discussione molte cose della sua vita. Nei capitoli più politici, il Grand’uomo lo vediamo alle prese con una banda di idioti come lui (Bo, Kissick, il giudice, Metzger, Frode, il Generale, Tony, il funzionario gay che ora lavorerà con Obama ma che all’occorrenza tornerà utile ai repubblicani) arruolata per realizzare il golpe che dovrà salvare la nazione. Il gruppo di tanto in tanto si ritrova per mettere a punto il piano. In una delle scene più esilaranti, tutti gli uomini del deficiente li vediamo esercitarsi al tiro al bersaglio contro un manichino di Charlotte. In un’altra Il Grand’uomo si ritrova coinvolto in una misteriosa rete di sovversivi alla stregua di Oedipa Maas de L’incanto del lotto 49 di Thomas Pynchon “Una fottutissima Apocalypse Now”. The Unfolding è un romanzo molto dialogato e i dialoghi sono perfetti, la parte migliore. Un altro aspetto interessante della scrittura è la solita abilità che la Homes rivela nel tratteggiare i personaggi maschili. Dicevo del doppio binario della storia. Il primo è la vivacissima satira politica che investe un’America conservatrice incapace di accettare il dato elettorale: ila vicenda è ambientata nel 2008 ma non sfugge il riferimento ai fatti più recenti della presa di Capitol Hill per i quali è finito sotto processo Donald Trump. L’altro è il dramma familiare nel quale si ritrova invischiato il protagonista. Nel giorno del Ringraziamento lo vediamo da solo seduto in una tavola calda giù a Palm Springs, in California, mentre sua moglie è in clinica a disintossicarsi e sua figlia “che non conosce tutta la storia” trascorre la ricorrenza con il suo padrino Tony “queer non dichiarato”. Big Guy è giù di corda. Prova a telefonare a Charlotte in clinica ma non gliela passano e la telefonata si trasforma in fantastica gag. Si ride. Si ride molto. Ho immaginato Big Guy come l’ultimo Coniglio Angstrom di Updike, l’uomo sbagliato, lo “stronzo” che prova a resistere alle sue strane manie, a recuperare il tempo perduto, a godersi i pochi brandelli di una famiglia ormai a pezzi. Che brava, la Homes.