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Abelardo Castillo. Racconti crudeli

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Alcuni scrittori sono precisi come cecchini. Gli basta una parola, un gesto, per tramutare i personaggi in persone.

Soffiano nelle orecchie di questi esseri di carta e di finzione, sussurri come sabbia che si muove e loro, i personaggi, prendono vita.

Non è una cosa comune a tutti i grandi scrittori, alcuni, penso a Bernhard, non riescono a farlo, non hanno quel tocco così particolare.

Bernhard, ad esempio, è un ruminante, lui ha bisogno di creare vortici, nebulose di pensiero che si attorcigliano e in quel magma riconosciamo il nostro pensiero, le nostre ossessioni e guardiamo nelle sue pagine come la regina di Biancaneve nello specchio, chiedendo chi sia il più paranoico del reame, il più malato, e anche se lo specchio dice Konrad è il più malato, Rudolf è il più pazzo di tutti, noi scorgiamo comunque il nostro naso, le nostre orecchie, i nostri zigomi, sul volto di ogni singolo personaggio del grande austriaco.

Abelardo Castillo, invece, aveva quel tocco, quella magia.

In Racconti crudeli, scrigno che custodisce racconti splendidi, portati in Italia, finalmente, da Del Vecchio editore e tradotti da Elisa Montanelli, ci sono momenti di letteratura altissima, dove Castillo riesce a dare vita perpetua ai suoi personaggi con un movimento, una parola.

Non è facile da spiegare come questa magia avvenga, ma chiunque abbia letto questi racconti, capisce al volo cosa dico.

C’è, ad esempio, la mamma di Ernesto, protagonista del primo racconto di questa raccolta che, alla fine, con un gesto semplice e con una domanda, si svuota di tutti i significati che le vengono attribuiti, smette di essere una prostituta, un oggetto di perverso desiderio, la causa di un tradimento e con un gesto, dicevo, una domanda, torna a essere, di colpo, solo la mamma di Ernesto, una donna viva e preoccupata per il figlio.

E questo succede anche al protagonista di Patrón, a Ortega il nero, a Matias Goldoni, personaggi che d’improvviso prendono vita dentro queste storie semplici, quotidiane, dove la crudeltà sta nella meschinità dei giorni.

Castillo ha il dono di ripulire la vita, anche la nostra, da tutte quelle impurità che ci impediscono di vedere quanto inutili possono essere gli affanni. È come uno scultore, che elimina tutto quello che di superfluo ci appesantisce e lo fa con una grazia e una prosa semplice che disarma. Quando lo fa lui sembra facile, anche se non lo è. Sembra Maradona, che salta un avversario e poi un altro e chi guarda ha la sensazione frustrante che loro, i difensori, siano fermi, impalati come birilli, però se guardi bene, non sono loro che stanno fermi, è solo Diego che si muove come una farfalla.

Morto nel 2017, nato nel 1935, Castillo attraversa un’era di letteratura, la studia, la assorbe. Conosce i libri di Arlt, di Cortázar, di Borges e non li rinnega. Non teme il confronto e si nutre delle loro pagine per creare le sue, sedendosi allo stesso tavolo dei maestri, maestro a sua volta.

Castillo è uno scrittore veramente grande, grande come Lispector, come Sábato. Grande davvero insomma e questo libro, Racconti crudeli, in un’edizione molto accurata, molto bella, impreziosito dalla prefazione di Loris Tassi, che si è distinto molte volte per la sua conoscenza infinita della letteratura latinoamericana, io lo consiglio con forza, fino a ripeterlo e a stancare. È un regalo che possiamo fare a noi stessi. Io di libri ne leggo tanti, ma questa: che sia una fortuna vivere tra i libri, è una cosa che penso solo certe volte.

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Pierangelo Consoli

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Racconti crudeli, Abelardo Castillo, Del Vecchio editore 2023, Pp.270, Euro 18

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