Mi piace la musica, ma non acquisto libri che ne parlano: l’ultimo fu nel ’91, Welcome to the jungle, un istant book sui Guns ‘n’ Roses, che seguivo dall’87 e che per mesi, potendo ascoltarli solo su una cassetta pirata, pensavo si chiamassero Kansas Rosis. Una pena lunga 200 pagine di fotografie sgranate e traduzioni ridicole delle canzoni. Più i gruppi sono rock e popolari, più i libri sembrano scritti a uso e consumo di dementi; si riducono album fotografici, con la discografia e i testi che prendono un quarto dello spazio rimanente. Poi mi sono imbattuto in questo AC/DC. C’erano poche foto e discografia ridotta all’essenziale; era scritto, come qualsiasi libro che si rispetti. L’ho comprato e l’ho letto in un giorno. La povera famiglia scozzese che emigra in Australia, le risse, il frontman geniale morto affogato nel suo stesso vomito, lo snobismo della critica e il successo planetario; c’era tutto, con sconosciuti retroscena e qualche chicca impagabile (il fratello George Young, nume tutelare e produttore, che scrive Love is in the air, gulp!). Non era la solita melassa celebrativa, ma la storia di una passione e della feroce determinazione per raggiungere un obiettivo: spazzare via tutti gli altri dal palco. In un mondo in cui «cercare nuove sonorità» e «allargare i propri orizzonti» sono diventati sinonimo di «non mi viene più un pezzo decente», i fratelli Young e la loro banda sono restati fedeli alla loro passione, suonando sempre gli stessi quattro accordi, violenti e precisi come un pugno in faccia, in una lunga cavalcata di riff micidiali e pause millimetriche, senza mai concedersi una ballata romantica o una canzone d’amore, fino a conquistare il mondo armati di Gibson SG e Marshall sparati a tutto volume.