Un esordio deciso: “Davanti a una casa che sorgeva sopra un’isola sedeva un uomo molto vecchio, e tremava davanti alla morte. Già da molti anni lo si sarebbe potuto vedere seduto lì, se solo avesse concesso ad altri occhi di vederlo”.
Il ciclo della vita: “Ah, che cosa arcana, misteriosa, attraente è il futuro: e quanto appare chiaro e logoro quando diventa poi passato! Tutti questi giovani gli si precipitano incontro, impazienti di incontrarlo. Uno fa il gradasso magnificando cose e piaceri superiori alla sua età, l’altro si mostra annoiato, come se avesse provato già ogni cosa, mentre il terzo ripete quel che ha sentito dire da uomini e vecchi nella casa paterna”.
Consigli d’altri tempi:” Sii un agricoltore, come i vecchi romani; godi la vita come più ti piace. Se sarai saggio, andrà bene. Se sarai un folle te ne pentirai in vecchiaia, com’è successo a me. Mi hanno accusato di essere avaro, però pur essendo avaro ho goduto intensamente la vita come pensavo che fosse giusto fare, ma era sbagliato. Anche tu probabilmente hai preso da me, e vorrei che facessi meglio di quanto abbia fatto io.”
È in libreria Il vecchio scapolo di Adalbert Stifter (Carbonio Editore 2024, pp. 144, € 14,50 con traduzione dal tedesco di Margherita Carbonaro).
Adalbert Stifter (Oberplan, Boemia, 1805 – Linz, 1868) è uno dei più grandi scrittori austriaci, ammirato da Mann, Nietzsche, Rilke e von Hofmannsthal. Fu anche educatore e pittore. Affetto da una grave malattia al fegato, si tolse la vita. Tra le sue opere principali figurano i romanzi “L’estate di San Martino” (1857) e “Witiko” (1865-67), e le raccolte di novelle “Studi” (1844-50), che include “Il vecchio scapolo”, e “Pietre colorate” (1853), contenente il celebre racconto “Cristallo di rocca”.
Victor, un giovane cresciuto in un villaggio della Boemia con l’affetto della madre e della sorella adottiva, decide di trasferirsi in città, convinto di non volersi mai sposare. Durante il viaggio, con il suo fedele cane volpino, visita uno zio scapolo che vive isolato su un’isola in un lago alpino. In questo luogo remoto e opprimente, con uno zio solitario e burbero, Victor scoprirà una lezione di vita che cambierà il suo destino. Con una prosa chiara e sobria, Stifter ritrae con delicatezza anime semplici e tormentate, offrendo un intenso romanzo di formazione.
Il racconto esplora il tema della solitudine e del valore delle relazioni umane e anche quanto sia poco attraente restare scapoli.
Carlo Tortarolo
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Sul cancello non c’era né campanella né batacchio, ma all’interno il volto di un uomo anziano si era fissato su di lui mentre cercava in tutti i modi di aprire. L’uomo era spuntato dalla boscaglia e tese in fuori la testa per vedere Victor.
“Abbiate la cortesia” disse il giovane “di aprirmi il portone e di condurmi dal signore di questa casa, se il luogo si chiama davvero l’eremo”.
L’uomo non disse nulla ma tese il volto ancora di più verso Victor, lo guardò per qualche istante, poi disse: “Sei venuto a piedi?”.
“Sono venuto a piedi fino alla Hul” rispose Victor.
“È proprio vero?”.
Victor arrossì, perché non aveva mai mentito.
“Se non fosse vero” disse, “non lo direi. Se voi siete mio zio, come quasi sembrerebbe, ho qui una lettera da parte del mio tutore, che vi dirà chi sono e che sono venuto perché voi l’avete voluto”.
A queste parole estrasse dal taschino della giacca una lettera ben conservata e la porse attraverso le sbarre.
L’anziano prese la lettera, la mise via senza leggerla e disse: “Il tuo tutore è un pazzo e un uomo ottuso, che me ne faccio di questo? So già tutto. Tu non sei affatto diverso da tuo padre, quando ha cominciato a fare le sue stupide follie. Ti ho già visto arrivare sul lago”.
Victor, che nella sua vita non aveva mai sentito parole del genere, rimase muto in attesa che l’uomo aprisse il cancello.
Il vecchio però disse: “Prendi una corda con una pietra e annega il cane nel lago, poi torna qui, io nel frattempo ti aprirò il cancello”.
“Chi dovrei annegare?” chiese Victor.
“Be’, il cane che ti sei portato dietro”.
“E se non lo faccio, non aprite?”.
“No, non apro”.
“Vieni, volpino” disse Victor. Si voltò, scese la scalinata, percorse il fossato e poi il prato con i nani di pietra, attraversò le acacie e la boscaglia, arrivò alla baia con tutte le forze di cui il suo corpo era capace e gridò: “Barcaiolo! Vecchio barcaiolo!”, ma era impossibile che l’uomo lo potesse sentire, a quella distanza non si sarebbe udito nemmeno lo sparo di un fucile. Come una mosca nera, la navicella stava accanto alla cima scura dell’Orla che spiccava lontano nello splendore serale del lago. Victor prese il fazzoletto, lo legò al bastone e cominciò a sventolarlo nell’aria per farsi vedere; ma nessuno lo vide e alla fine, mentre continuava a sventolare, anche la mosca nera attorno alla cima della montagna era scomparsa. Il lago era completamente deserto, e si vedeva solo la risacca con la sua schiuma leggera che nella brezza serale lambiva le rocce dell’isola.
“Non fa niente, non fa niente” disse, “vieni, volpino, andiamo a sederci tra i cespugli sulla riva, e passiamo così la notte. Domani spunterà di sicuro una barca a cui possiamo fare segno”.
Così disse, e così fece. Cercò un posto dove l’erba fosse corta e asciutta, e protetto dai cespugli che non gli chiudessero però la vista del lago.
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Il vecchio scapolo
di Adalbert Stifter
© 2024 Carbonio Editore srl, Milano
Tutti i diritti riservati
Traduzione dal tedesco di Margherita Carbonaro
Introduzione di Margherita Carbonaro
Collana “Origine”