Pubblicato per la prima volta in Italia vent’anni fa (Il Distretto di Sinistra, E/O, 1999), Adam Bodor, uno degli autori di spicco della letteratura contemporanea est-europea, torna nelle librerie italiane grazie a Il Saggiatore con il romanzo Boscomatto (pp. 312, euro 22, traduzione di Mariarosa Sciglitano).
È un mondo imbevuto d’acqua, quello che descrive Bodor, dove sui monti zampillano sorgenti sulfuree di acqua termale il cui lezzo impesta l’aria, un paesaggio poltiglioso dove il sentimento non esiste e la vita è ossessiva ripetizione di rituali che servono solo a scandire il tempo ma senza cercarne il senso. “Noi stessi, oltre a vendere l’acqua termale di Prato Paltinsky, raccogliere funghi porcini, nocciole, rosa canina, menta, camomilla, timo sui declivi del Medwaya, e smerciare carrettate di ghiaia fine del Jablonka, non facciamo niente altro. Attendiamo che magari venga qualcuno. […] Magari verrà qualcuno a dirci finalmente a che pro siamo qua. Oppure non verrà più nessuno. A dire il vero attendiamo solo il passare del tempo”.
I personaggi di Bodor vivono una condizione assurda di confinati: la ferrovia è stata smantellata, gli uccelli sono migrati altrove e le sole persone che vi giungono sono disperati alla ricerca di redenzione (i ragazzi che Anatol Korkodus, il brigadiere, si fa spedire dal riformatorio- tra cui Adam, il protagonista); loschi figuri con inquietanti ed enigmatiche facce da cavallo o dal muso da topo; eminenze grigie del circondario; e cisternieri che si portano via l’acqua ma provvedono gli abitanti di merci varie: “i cisternieri non ci rivolgono troppo la parola. Se chiediamo loro qualcosa, mugolano, mugugnano, come se non ci capissero nemmeno, ci guardano e si limitano ad alzare le spalle. Loro vengono da un altro mondo, come se non parlassimo nemmeno la stessa lingua”.
Accadono cose grottesche a Jablonska Poljana di cui nessuno si chiede il perché, le accettano e basta senza opporre resistenza: i libri vengono bruciati (tranne il Libro di cucina di Eronim Mox, consultato come un oracolo); il freddo ghiaccia i mulini e li consegna intatti di vita rappresa; serpeggiano leggende di una donna con tre gambe che abita nel vicino Bosco Muto, con tronchi di abeti putrescenti e cornacchie lugubri e taciturne; ci sono corpi che penzolano impiccati dagli alberi; si uccide senza che nessuno si scandalizzi; la morte arriva preannunciata da una misteriosa lettera N che compare nel cielo o in altri posti, e che significa Nikita (“Nikita nel libro di racconti di Eronim Mox e in tutta la Verhovina è il nome della morte”); c’è chi è capace di risvegliare i morti (il “demone cincia” Nika Karanika) e chi predice il futuro dalle gocce d’acqua (la sarta Aliwanka).
E poi c’è la sorgente numero due, l’unica non cinta da filo spinato, dove Anatol Korkodus chiede di essere messo a riposare nel caso dovesse morire, “sotto le foglie di betulla gialle l’incognita blu dell’aldilà”. Così, quando un fotografo si affaccia nel piccolo e asfittico universo di Jablonska Poljana, probabilmente mandato in avanscoperta da chi ha intenzione di costruirvi un centro termale, Adam non ha altra scelta…
“Poi la superficie dell’acqua si calma, vi ricompaiono le nuvole che corrono nel cielo da nordovest a sudest. Si muove anche lo strato di foglie messo da parte, si appresta a richiudersi sullo specchio dell’acqua. Non ho fretta, attendo che la volta blu scuro scompaia sotto il tessuto di foglie gialle che si rimargina”.
In Italia Adam Bodor si conosce poco, a parte per il citato libro di E/O e per qualche curiosità da cinefili riguardante il film The Outpost, tratto dal suo A reszleg, proiettato a Cannes nel 1995 nella sezione “Un certain regard”.
Un’ottima occasione, questa offerta da Il Saggiatore, per scoprire un autore complesso che usa l’assurdo in chiave di favola nera.