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Addio arrivederci ciao. Intervista a Francesco Spiedo

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Per Le Tre Domande del Libraio su Satisfiction questa settimana incontriamo Francesco Spiedo dal 20 novembre in libreria con la novella “Addio arrivederci ciao” pubblicata da Zona 42 nella collana 42Nodi, curata da Elena Giorgiana Mirabelli. Francesco Spiedo è ingegnere non praticante. Suoi contributi sono apparsi su rivista (Nazione Indiana, Minima&Moralia, etc) e suoi racconti online e in diverse antologie (Rfb, Pidgin, etc). Ha fondato Itaca Colonia Creativa, si occupa di scrittura creativa e lavora come ghostwriter. Con Fandango Libri ha pubblicato tre romanzi: Stiamo abbastanza bene (2020), Non muoiono mai (2022), Difettosa (2024). 

Francesco, vogliamo raccontare ai Lettori e alle Lettrici forti, che ci seguono su Satisfiction, da dove nasce l’idea di “Addio Arrivederci Ciao” e la necessità di tornare dopo tre romanzi a una narrazione breve?

La necessità c’è sempre stata, forse è mancata l’occasione e l’idea giusta, quella fortunata coincidenza tra una buona storia, il tempo per scriverla e l’editore per pubblicarla. Come tantissimi della mia generazione, ho iniziato con il racconto, pubblicando su riviste come Crapula e Il Primo Amore, giusto per citarne due. Ma la forma breve non è mai stata palestra, lavoro propedeutico al romanzo, anzi. Credo che il racconto sia, nel suo essere meno, decisamente molto di più del romanzo: più bello e più divertente, sia da leggere sia da scrivere, più denso, più ricco, più pieno e anche decisamente più difficile. “Addio Arrivederci Ciao” è la storia che mi ha ossessionato per anni – la sua primissima stesura, affidata alle mani e agli occhi di Leonardo Ducros, è del 2022, ma mi fa compagnia dagli anni di Milano, da quando scrivevo “Stiamo abbastanza bene” che poi è diventato il mio esordio con la forma lunga per Fandango Libri. Era il 2016. Ma non è stata solo un’ossessione in quanto storia, ma anche in quanto aspettative. “Addio Arrivederci Ciao” era una novella, volevo tornare alla forma breve, ma ne sarei stato in grado? Questa storia è stata una sorta di gatto di schrödinger letterario: finché non l’avessi scritta sarei stato allo stesso tempo all’altezza e non all’altezza, avrei mantenuto ancora vivo il desiderio di ritornare al racconto e morta, invece, la presunzione di scrivere qualcosa che portasse con sé Landolfi, Cortázar, Buzzati, Del Giudice e Douglas Adams.
Poi è arrivata Elena Giorgiana Mirabelli a dirmi di non fare lo stupido. E Giorgio Raffaelli, di Zona42, che avrebbe volentieri accolto il testo. Zona42, poi, ha un nome che è tutto un programma: Zona, come quello spazio del narrare di cui scriveva Del Giudice, e 42 come la famosa risposta presente in Guida Galattica per Autostoppisti di Adams. E chi sono io per negarmi alla casa editrice che ha accesso alla zona, che conosce la risposta fondamentale sull’universo, la vita e tutto quanto? Nessuno, ed eccoci qui.

Una favola moderna, più grigia che nera,  con al centro l’irrequietezza di questo protagonista , S., e la sua decisione di partire improvvisamente e lasciarsi dietro la routine inquieta del suo quotidiano con la mancanza di prospettive. Vogliamo raccontare nel dettaglio i luoghi che vedono protagonista S., e la storia di cambiamento che anima queste pagine?

Tutto inizia nella casa di S., una casa da trentenne single emigrato come ce ne sono tantissime. E tutto inizia con S. che decide di lasciarla, di partire per non tornare più. Così, al mattino, dopo aver salutato gli amici, è pronto ad andare: peccato che la città non sembri essere d’accordo. Scioperi, imprevisti, allagamenti, leoni in piazza, zanzare che affollano le strade, le stesse strade che non conducono dove dovrebbero e che diventano un labirinto nel quale tutti sembrano sapere dove andare e cosa fare, tranne S. A nessuno sembra strano che ci sia una bara nella hall di un albergo di lusso, tanto per dire. Volevo che la città in quanto manifestazione dell’artificio umano, e quindi artificiosa, restituisse al lettore un senso di disagio, una pesantezza, un’inquietudine sottile e costante, in una sorta di ostilità inspiegabile ma sempre presente. Gli animali, invece, la natura che prende possesso dello spazio urbano è pacifica, fonte di silenzio e calma, di una ineluttabilità che sembra del tutto normale, quasi desiderata: e ho provato a restituire questo effetto lavorando sulla sintassi, sul ritmo delle pagine. Il testo è un paradosso, tutto è il contrario di tutto: ciò che dovrebbe inquietare rasserena, ciò che dovrebbe calmare genera preoccupazione, ciò che dovrebbe essere pratico e immediato diventa impossibile, ciò che è impossibile diventa semplice, quando bisognerebbe dimenticare si ricorda. Anche “Addio Arrivederci Ciao”, già il titolo, è un paradosso, un saluto che procede al contrario. Ci sono riuscito? Penso di no, ma affido al lettore il compito di smentirmi.

Vogliamo spiegare, a partire dalla scelta formale precisa di una scrittura visionaria, lo strano viaggio che si innesca in queste pagine nella mente del protagonista?

Un gioco di paradossi e di trasmutazione. Ciò che S. ha visto, o meglio intuito negli occhi degli amici – e specialmente di G. -, diventano realtà. E così gli animali invadono lo spazio urbano, gli alligatori prendono possesso dei tunnel della metropolitana, gli elefanti attraversano ponti chilometrici, uccelli rapaci svolazzano tra i palazzi. Più S. cerca di partire, di compiere un gesto semplicissimo e che più di tanti altri definisce il nostro tempo – siamo una società viaggiatrice e pendolare, spostarsi non è mai stato così semplice -, più la realtà muta, si accartoccia, diventa paradossale. Ciò che è umano scompare, o diventa assurdo come dei ristoranti chiusi a ora di pranzo, e tutto diventa simbolico, onirico, superstizioso. Il viaggio che dovrebbe condurlo in un’altra città, anch’essa mai nominata, perché non importa, non è importante, in realtà neppure inizia. S. è intrappolato in un perpetuo tentativo, in un continuo ingegnarsi per una nuova soluzione, alla ricerca di un’alternativa dell’alternativa. Come noi oggi abituati a doverci reinventare nel sogno, e nella speranza, di prenderlo davvero un treno che ci porti lontano da qui. Per andare dove? Non importa.

Buona Lettura di “Addio Arrivederci Ciao” di Francesco Spiedo.

Antonello Saiz

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