“L’uomo che vendette il mondo” di Alessandro Galano (Scatole Parlanti, 2021 pp.347 € 15.00) è una storia di disconnessione interiore, rimuove la distanza del disincanto, intensifica lo smarrimento ontologico dei protagonisti, disgiunge l’impalpabile processo di difesa dell’uomo, proteggendo l’arbitrario collegamento tra le diverse entità emotive della vita. L’autore delinea una descrizione riprodotta da uno sconcertante e continuo turbamento, da una intermittenza, nella sospensione letteraria nel tempo e nella superficie analitica della comune fusione con la coscienza, confessa l’esigenza espansiva della memoria, afferma l’irreperibilità dell’identità transitoria e perduta, relazionando la fuga dell’esperienza idealista e la percezione del decorso evolutivo dell’anima. Alessandro Galano fonde il desiderio di padronanza del territorio narrativo con la struttura evanescente dei personaggi, specifica la circostanza del dettaglio, il controllo fondamentale dello spazio vitale, perde la direzione della sorveglianza introspettiva trovando la sua giustificazione nella scomparsa di ogni imitazione ingannevole della realtà. Concede alla problematica scoperta della menzogna l’occultamento e la trasformazione dell’esistenza e la falsificazione della consapevolezza. “L’uomo che vendette il mondo” si immedesima come in una finzione scenica in ogni persona interprete della propria finzione esistenziale, dissimulando la propria estensione dentro il carattere invisibile del tempo sottratto al dileguamento dei ricordi, all’eclissi di ogni dispersione viscerale in nome del coraggio razionale. Il labirinto coinvolgente della storia rende fluida l’inquietudine dell’inconscio, trasporta l’avvicendamento sensitivo della direzione romanzesca verso una continua, incalzante ricerca della condivisione nella relazione premurosa, accompagna le derive del destino e gli approdi del conforto. La scrittura di Alessandro Galano è sinceramente profonda, approfondisce l’insolenza del dolore, raccoglie le informazioni difficili di ogni riflessione logica dell’accettazione della propria presenza, esalta l’amicizia momentaneamente confusa nell’archetipo dell’assenza e l’attesa fiduciosa ritrovata, affida alla libera interpretazione della deviazione la sensazione misteriosa e simbolica dello spirito, la disponibilità della distanza dal contrasto assurdo nella motivazione delle parole. Il protagonista Santo Bardi confonde con indistinta perdizione la vagante esitazione del viaggio intimo, imperfetto e interrotto, accerchia la compatta solitudine e l’assedio del fantasma del suo migliore amico Alex mantenendo nella virtù della fratellanza la stabilità dell’affetto, la limitazione disgiunta degli universi paralleli, la vita e la sua interruzione. Lo sconfinamento della sincera finalità del ritrovamento incendia l’intestazione al libro “I thought you died alone/A long long time ago” “Pensavo fossi morto da solo/Tanto tanto tempo fa” (The Man Who Sold The World – L’uomo che vendette il mondo – David Bowie)