Chiudo il libro e non smetto di domandarmi: quanto c’è di autobiografico qui dentro?
Non si dovrebbe fare, lo so. Eppure, mai come in questo caso, le parole sembrano rimandare a un pregresso che urla tra le righe.
La musica, il territorio, la filosofia stessa dell’autore, diventano elementi essenziali che ritornano potenti, ciclicamente, all’interno di questa storia.
Alex Ezra Fornari giunge alla forma romanzo dopo una serie di racconti a tema fantascientifico e una vita intrisa di arte, musica e contaminazioni creative. Nato in una casa piena di dischi R&B e libri di poeti della beat generation, oggi esce per Wojtek (quale editore migliore per un animo sperimentale?) con un romanzo che si fa appendice inscindibile di un percorso che ha sempre messo la voce, la sua voce, al centro di tutto. Ed con quella stessa voce che oggi Alex ci urla addosso. Un grido di rabbia storpiato dal riverbero, che suona come un pezzo punk sparato in un circolo arci della pianura, un venerdì sera di Gennaio, tra bottiglie rotte e mozziconi spenti sotto gli anfibi macchiati di fango.
Un po’ come la musica che piace a Samuele, protagonista “differenziale”, che conosciamo a otto anni, mentre si aggira tra quelle strade dal sentore post-apocalittico che hanno un po’ tutti i quartieri di provincia. Una terra spenta da una nebbia che nasconde il profilo delle ciminiere. Un posto in cui è necessario farsi una vita “altra” per sopravvivere al piattume di una quotidianità scandita dalle sirene della fabbrica. E Samuele ci prova a sopravvivere, come tanti, da subito, con l’aiuto della musica.
Inizia a scrivere pezzi per sfogarsi, diventa il leader di una rock band, gli Haz Mat, “materiali pericolosi”, appunto, mentre genitori borderline e un fratello problematico sbiadiscono lentamente dalle pagine per lasciar posto agli amici, ai primi amori, ai pericoli di un’eroina che inizia a mangiarsi i compagni più fragili. E poi c’è Dante. Figura cardine, fauno ammaliatore dalla sessualità libera, una figura dal corpo inafferrabile la cui presenza suscita in Samuele istinti che macchiano la pagina di fluidi corporei, sudore, vita.
Dante, un personaggio complesso, affascinante, che da solo potrebbe reggere il peso di un intero romanzo e che invece l’autore sceglie di dosare nella narrazione con una cadenza rivelatrice. Dante, amico e compagno di scoperte sessuali, fulcro di pulsioni che incendiano i corpi di ragazzi che si rifugiano nella pelle, negli orifizi, nello sperma e nella saliva per scappare dallo spauracchio di un futuro anestetizzato.
Qualcosa di naturale inizia così, come potrebbe farci intuire il titolo stesso, come un qualsiasi romanzo di formazione che si snoda attraverso le voci e le piccole ribellioni di questi giovani punk in cerca della propria affermazione artistica. Ma l’opera di Alex Ezra Fornari è qualcosa di molto più complesso, stratificato, inclassificabile.
Quasi a volerci far intuire che la vita, come un assolo improvvisato, può essere qualcosa di imprevedibile, nella seconda parte del libro assistiamo a una frattura inaspettata. Succede qualcosa, il tempo si squarcia e di colpo siamo proiettati nel secondo tempo di questa pellicola d’essai dai contorni sempre più sfumati.
Sono trascorsi quindici anni, Samuele è cresciuto e ora ha un lavoro stabile per un’agenzia di comunicazione che reclama slogan commerciali e smorza ogni stimolo creativo. Ha anche una moglie da cui si è separato e delle figlie con cui fatica a instaurare un legame. Si trascina stanco, “ammazzandosi di seghe”, in un’esistenza che ha sostituito l’adrenalina con una sicurezza narcotizzante. Potrebbe sembrare la classica parabola del borghese medio se non fosse per quel richiamo sottopelle, quella voce che un tempo era un urlo prepotente e ora si è affievolita ma è ancora lì, presente, a richiamare la sua esistenza, a riportare Samuele verso un tempo in cui tutto era pulsione, secrezioni, corpi che collidono e muscoli tesi nel piacere di un istante.
Samuele “Samu” torna al quartiere d’origine, agli amici abbandonati e a Sara, la sua ragazza di un tempo. Il romanzo sferza ancora di tono e ritmo. Emergono ferite nella pagina suppurate da intermezzi introspettivi che sfociano nella musicalità poetica di un testo in continua lotta per tornare alla sua forma primordiale. Ferocia e poesia coesistono continuamente nella prosa dell’autore. Ed è in questo flusso di spietata analisi esistenziale che riappare Dante.
Sfigurato, violato, ridotto a un mendicante che si muove a piedi scalzi in mezzo a quella stessa nebbia che l’ha partorito. Fiero di una consapevolezza che ha superato ogni vergogna, ogni violenza, portavoce di una una dottrina dell’accettazione verso le nuove generazioni che ora lo accolgono come un santone, un guru a difesa di ogni diversità. Dante, l’elemento più inafferrabile e luminoso di un romanzo in cui la luce viene distillata, concentrata in minuscoli spiragli e in questo continuo sottrarre mi ritorna alla mente una frase dell’autore che, durante una presentazione, afferma con una serenità invidiabile di non credere nella felicità. Un sentimento che per lui è mera illusione, un artificio che ci siamo creati per sopravvivere.
Qualcosa di naturale è un romanzo sperimentale, di una limpidezza rara e preziosa che muta forma, tempi e linguaggio lungo tutto l’arco narrativo. Un’opera dalla personalità instabile, che coinvolge il lettore in un’esperienza sensoriale che parte dal corpo, dalla conoscenza del corpo giovane, per poi evolvere in una visione più complessa, profetica, dolorosamente esistenziale.
Una storia di contrasti e delusioni avvolte da una nebbia inquisitrice che, attraverso le ferite, le rinunce e le umiliazioni dei suoi protagonisti, ci mostra un’umanità smarrita, in cui la desolazione del contemporaneo ha fatto razzia di ogni forma di ribellione.
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Qualcosa di naturale
Alex Ezra Fornari
Wojtek
16 euro
309 pagine