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Alexandre Vialatte. Berger, il soldato fedele

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Alexandre Vialatte è stato, per i francesi, quello che Mencken è stato per gli americani.

Ora non so se ha avuto un suo Fante, ovvero un giovane che lo riempiva di lettere in cui gli chiedeva come diventare uno scrittore.

Però, come Mencken, Vialatte fece conoscere ai francesi Nietzsche, Kafka, Hoffmannsthal e molti altri prestigiosi scrittori e forse la pensava proprio come Mencken quando diceva che uno scrittore, dovendo stare chiuso in una stanza a scrivere e non potendo essere in due posti contemporaneamente, doveva fare molto con poco.

In Italia, Vialatte arriva grazie a Prehistorica editore, con il romanzo Berger, il soldato fedele, tradotto da René Corona.

Quella di Berger non è precisamente una storia di guerra. Diviso in quattro capitoli, nel primo troviamo Berger massacrato nel fisico e nella mente da una marcia di settanta chilometri. È prigioniero, è a digiuno, e ha il fisico martoriato dalle piaghe ai piedi, dalla giubba fradicia, dal mal di denti. Stremato, comincia a vaneggiare. Vede fiumi dove non ci sono, sente le voci, si perde nei ricordi.

Nel secondo capitolo comincia il delirio vero e proprio e il delirio è il vero oggetto della narrazione. Richiuso in una stanza che Berger non capisce se si tratti di una cella, di un ospedale o un ripostiglio, comincia a perdere completamente la ragione. Ci saranno due fantasmi ad ossessionarlo: l’amico Planier e la cavalla Pantalona. In tutti i suoi deliri loro ci sono. L’uno morto e la seconda viva e perduta. Forse catturata, ma certamente viva.

Planier è il tarlo che rischia letteralmente di uccidere il fedele Berger. Prima di partire per la guerra, l’amico gli fa una confessione. Berger non ricorda di cosa si tratti e si convince che sia, questo, il motivo per cui lo tengono rinchiuso. In un crescendo di angoscia di scala Bernhardiana, Berger arriva a cercare il suicidio.

Salvato, viene portato in un ospedale psichiatrico dove resta per mesi legato al letto. Berger arriva a proiettare sul soffitto i suoi incubi come un cinema. Li osserva, si perde. Per tutto il terzo capitolo osserviamo questo rifiuto della patria che di guerre mondiali ne ha combattute due e che ancora pensa alla Francia e si incolpa perché se avesse combattuto meglio, la nazione che crede occupata, non sarebbe stata sconfitta.

Nel quarto capitolo torna a casa ma Berger non è più lui. Come un novello Kaspar Hauser Vaga nel villaggio in un silenzio tombale. Sua moglie, sua madre, gli chiedono di parlare e lui nicchia. Dice di essere talmente felice da non sentire l’esigenza di esprimersi. Ormai lo considerano tutti un uomo finito. Berger è nel suo labirinto Kafkiano, incapace di uscire dall’incubo.

Romanzo, questo di Vialatte, non propriamente di guerra ma espressionista alla maniera di Blanchot. Un viaggio sconfortante e poetico nella follia umana e dove Berger, come il Cambrìa di D’arrigo, torna a casa senza tornare perché l’incubo si è insinuato fin dove è impossibile estirpare.

Pierangelo Consoli

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Alexandre Vialatte, Berger, il soldato fedele, 2023, Pp. 200, Euro 16.

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