Abiti in una stanza minuscola, al primo piano di un palazzo condominiale di una città senza nome. Ti sei trasferito lì da pochi giorni. La scuola ti ha chiamato il mese prima, tua madre era fuori con le sue amiche e in casa c’era solo la nonna-pianta, distesa nella sua stanza a vegetare. “La chiamata è per il Sostegno” ha detto la voce dall’altro capo del telefono, “un caso grave”, ha aggiunto. Nella tua testa avevi già accettato. Qualsiasi cosa pur di andartene da quel posto, il più lontano possibile dai tuoi legami.
Nella nuova scuola hai conosciuto Vanni, il bidello. Vanni vive assieme alla sua compagna, Patti, una donna bruttissima ma con un sacco di qualità. Nel loro appartamento, a dieci minuti a piedi dalla scuola, c’è una stanza disponibile, “Un gioiellino con il cucinino a scomparsa, un bagno privato, un televisore e persino il wi-fi… ti ci puoi seppellire dentro e non uscire più”, ha detto Vanni. Nella nuova scuola dovrai prenderti cura di Haochen, un bambino cinese microcefalo che trascorre il tempo gesticolando e producendo quell’unico verso “Ma!” che per lui significa tutto.
Quando torni a casa, la sera, ti chiudi nella tua camera e passi le ore a guardare video muti su YouTube o fissando il soffitto di quella stanza loculo che si rimpicciolisce un centimetro alla volta. Nei sogni ci sono pastori tedeschi che abbaiano e pulcini schiacciati da cui colano liquidi strani.
Non hai interessi particolari, nessuna qualità che ti possa distinguere dalla massa che intasa le casse all’Eurospin. Il cibo non ti invoglia, non hai hobby, non pratichi sport, sei vergine ma del sesso non te ne frega nulla. Ti sei trasferito in questa città per allontanarti da tua madre ma i suoi SMS continuano ad arrivare puntuali, a ogni risveglio, per ricordarti che lei è lì, aspetta che ritorni, non lascerà che le belve vengano a prenderti.
Sfoglio le pagine del secondo romanzo di Alfredo Palomba e provo un senso di continua inquietudine. La narrazione in prima persona favorisce l’immedesimazione istantanea nella vicenda. La prosa asciutta, sempre controllata, elegantissima anche nei momenti in cui potrebbe concedersi qualche scivolone nel grottesco è un crescendo che causa assuefazione. Non è facile chiudere il libro senza che le sue immagini ti restino addosso. Non è facile tornare alla realtà senza riconoscerne i tratti comuni.
Il mondo descritto da Alfredo è un limbo alienante di routine e infrastrutture sociali ricoperte da una viscida patina di sporcizia che nasconde al suo interno un midollo ancor più marcio e nauseante. C’è un aggettivo che ritorna alla mente più volte durante la lettura: “perturbante”. Ecco, sì. Se dovessi riassumere in una sola parola la seconda opera del giovane scrittore campano userei proprio questa definizione.
Perturbante.
Un senso di angoscia che si insinua piano, come quel blob catramoso che si faceva strada nelle crepe e negli interstizi e che tanto mi spaventava da piccolo alla televisione. Una colata densa e scura che gocciola sopra le teste dei personaggi macchiandoli e “marchiandoli” fino a insinuarsi sotto la loro pelle. Un cancro di cui non sono consapevoli ma che si alimenta delle loro stesse brutalità. Inumano ci appare il modo in cui Vanni tratta la sua compagna, con quel continuo intercalare “Puttana!” in ogni sua richiesta. Inumano è il comportamento di Amadei, il professore che nel tempo libero si diletta a importunare inconsapevoli passanti, inumana l’esistenza di Ronco l’etilista e il suo tentativo di fuga dagli infermieri, inumane le richieste del sindaco e ancor più inumani gli occhi dei compagni di Haochen mentre umiliano in branco le disabilità dell’amico Ahmed. E il protagonista non può fare altro che muoversi tra queste belve come un impassibile Henry Spencer che vaga senza giudizio né posizione, in una città che deraglia verso un incubo folle. I suoi confini si sciolgono gradualmente e i latrati di quei pastori tedeschi indemoniati arrivano fino a noi lettori, squarciando la pagina e la soglia del nonsense, indignandoci, destabilizzandoci, sbattendoci in faccia uno squallore terrificante nel suo essere fin troppo reale. Non c’è profezia a cui possiamo prepararci, non c’è apocalisse a cui possiamo sottrarci.
Il mondo collassa, le pareti della camera si restringono e forse l’unica salvezza possibile è racchiusa nell’ingenuità di un ragazzino capace di riassumere tutte le assurdità del mondo in un’unica parola priva di senso.
Stefano Bonazzi
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Alfredo Palomba
Quando le belve arriveranno
Wojtek Edizioni
16 euro
184 pagine