Quando incontrai a Londra il poeta e artista visuale scozzese Robert Montgomery, creai una sua immagine che potesse contenere la mia iniziazione alla poesia, un evento esplosivo, che acquisii all’avvicinarsi dell’adolescenza.
Incontrai Robert svariate volte nella mia vita. Lo vidi celebrare un matrimonio in una chiesa sconsacrata sulle colline di Alassio, lo incontrai a Parigi per una mia lettura di poesie in una galleria d’arte.
La fascinazione di quegli eventi era legata a qualcosa che aveva a che fare con la nozione di oblio. Necessitavo di perdermi in rappresentazioni che evocavano incontri mitizzati dalla storia della letteratura. Fu un disastro calcolato, giacché parte sostanziale della mia esistenza si dava unicamente in un passato remoto, e in un futuro che, se mi avrebbe consacrato, lo avrebbe fatto con ogni probabilità dopo un periodo di tempo tale da eclissare qualsiasi realtà presente.
Restare lucidi era impossibile.
Per non perdere il senno professavamo una fede cieca nel genere umano.
Robert lo chiamava post-situazionismo malinconico e marxista.
Io gli davo altri nomi, ma era un comune desiderio di esprimere qualcosa che trapassasse il nostro ego.
È così che mi sono dedicato alla ricerca di un senso da imprimere al concetto di Nazione.
Una visione impossibile, come qualsiasi visione poetica che tenta di piegare la vita all’ideale, e non viceversa.
Non una lingua, non un suono, non un nome, ma una condizione esistenziale inderogabile e incontrovertibile.
Cercare dei monumenti di carne e di sangue con cui dare una forma reale a quel sentimento divenne la mia ossessione.
Costruire Nazioni attraverso le declinazioni della poesia, che di per sé è inafferrabile, costituiva invero una limitazione consistente.
Il tempo storico nel quale mi muovevo aveva delle regole inalienabili. Potevo vivere come un barbone o perseguire i miei ideali in modi differenti, come cercare nei centri di potere del mio tempo un sostegno e una visibilità che solo lo Spettacolo mi avrebbe potuto garantire.
Quell’imperativo, era dispiegato a reti unificate: “godi più che puoi”.
Lo Spettacolo non faceva che ripetere all’infinito quei mantra attraverso le sue icone.
Anni prima di incontrare Robert, conobbi Pete Doherty, colui che, assieme alla sua fidanzata, la supermodella Kate Moss, incarnò l’essenza del Rock‘n’Roll nella prima decade del terzo millennio. L’idealizzazione delle loro esistenze in seno alla sfrenatezza assoluta era spalmata ogni giorno sui tabloid, e le nuove generazioni difficilmente avrebbero concepito e desiderato emulare altri modelli di vita.
Quando quel mondo si sgretolò nelle mie mani, e vidi tutta la sua devastazione, mi aggrappai all’unica entità che nel mio cuore poteva resistere a quella marea indistinta di desideri.
Un esercito di giovani madri.
Fabio Pante