Riagganciandomi alla recensione di Giovanna Albi, uscita su Satisfiction qualche tempo fa (qui il suo articolo: http://www.satisfiction.se/ippolita-luzzo-pezzi-dal-regno-della-litweb/), ripropongo alcuni “pezzi” di Ippolita Luzzo, la regina della Litweb, che, come dice Bruno Corino nella prefazione al libro, ha una scrittura «“liquida”, nel senso baumaniano del termine, caratterizzata da una creatività e da una vivacità senza eguali, accompagnata da una vis polemica a tratti divertente e a tratti dissacrante!». Giovanna Albi la chiama “critica del martello”, perché i suoi scritti conservano l’autenticità, la spontaneità e la verve, ironica e puntuta, che non si piega a nessuna convenzione. Anche se è arduo, sempre più, essere ascoltati: «Orwell, in quel suo libro, raccontava di quanto fosse stato difficile per lui ribellarsi al conformismo. Non è facile, infatti, ma alcuni scrittori ci tentano e, oltre a ribellarsi, lo scrivono affinché anche gli altri sappiano», dice la Luzzo.
Ecco allora un paio di “Pezzi dal regno della Litweb”, uno del 2012 e uno del 2015.
Hanno bruciato gli archivi comunali
Hanno bruciato gli archivi comunali
L’anagrafe e lo stato civile, la residenza
E hanno inventato un mondo parallelo.
Un mondo senza
Senza nome e cognome, senza età,
Senza recapito fisso ma solo un cell
Un cell di copertura, da chiudere senza danni.
Hanno soppresso istanze, richieste, conti in banca,
Ospedali, dolori e malattie, vecchiaia, rughe e capelli bianchi.
Hanno chiuso i ponti, i segni del passato, vecchi rancori,
Lo sguardo di una moglie, di un marito
E chini sui tasti di un pc inventano un motivo,
Uno solo, per non darsi del matto.
Chi sono, chi sono?
Sono i nuovi carbonari.
Nascosti, travestiti, con tante personalità,
Giocano il gioco eterno dei rimandi e degli inganni.
Non hanno mai lavorato, stanno rintanati,
Oppure si vergognano se fanno l’impiegato
Se sono netturbini, guardie giurate
O semplicemente nonni
Nonne, a tempo prolungato.
Chissà perché poi restano invischiati
Chissà perché poi non tolgono il mantello
Chissà perché si arrotolano incapaci
In un avvitamento che senso non ne ha.
I nuovi carbonari non tramano riscosse
Non devon liberare l’Italia dagli austriaci
Non devono preparare sommosse e nuovi proclami.
Eppure
Vivono nel terrore che tu possa sapere
Soltanto un indirizzo, che tu possa scoprire
Che sono solo umani, con gambe, culi e seni,
Con rughe e con acciacchi, disoccupati, licenziati,
Indebitati e stanchi di essere normali.
I nuovi carbonari così vogliono restare,
Un nick, solo un nick da incasellare
Nella categoria… altro… altro… Altro.
*
La democrazia come la tunica di Gesù
Giocarsela ai dadi come la tunica di Gesù.
La nuova democrazia sarà un gioco.
Tiriamo a sorte e vincerà il più fortunato, colui o colei, che avrà
la dea bendata a fianco a sé.
Il governo di una città, di un comune, di una nazione, almeno la
sorte avrà favorevole.
Giocare ai dadi e dirsi un numero, indovinare il numero vincente
sarà la nuova abilità richiesta a chi vorrà mettersi a capo della città.
Questa retorica del voto, strumento di democrazia, è fin troppo
scoperta, fin troppo usata, non serve a niente. I voti sono il risultato
di accordi, ormai. Le leggi per votare hanno creato mille sottigliezze
per non dare importanza al voto. Il voto non esiste più. Esiste solo
lo scambio.
Il dominio, il gioco.
I soldati si giocarono la tunica di colui che poi, qualcuno in nome
suo, governò il mondo terreno e ultraterreno.
Giochiamo al gioco antico e affidiamo la nostra città al gioco
della dea che, bendati, ci giocherà nell’eterno girotondo… del meno
peggio ci capiterà
Ai dadi, ai dadi.
«I soldati poi, quando ebbero crocifisso Gesù, presero le sue vesti
e ne fecero quattro parti, una per ciascun soldato, e la tunica. Ora
quella tunica era senza cuciture, tessuta tutta d’un pezzo da cima a
fondo, perciò dissero tra loro: Non stracciamola, ma tiriamo a sorte
a chi tocca. Così si adempiva la Scrittura: Si son divise tra loro le
mie vesti e sulla mia tunica han gettato la sorte».
E i soldati fecero proprio così.
Della tunica poi non vi è più traccia.