Dopo tre anni, Andrea Cotti torna alle stampe con un’altra originalissima storia che vede come protagonista la sua amata prole letteraria: il vicequestore Luca Wu. Personaggio unico nella sua specie, già ben presentato nel precedente romanzo “Il cinese” (Nero Rizzoli, 2018).
Sebbene “L’impero di mezzo” possa essere definito come una continuazione narrativa della storia in questione – appunto iniziata con il volume succitato – questo romanzo è tuttavia fruibile indipendentemente dalla lettura dell’altro.
La penna di Cotti, distinguibile nel suo tratto schietto e asciutto, senza fronzoli o locuzioni pindariche, arriva come sempre dritta al punto. Riesce a descrivere fin nelle minuzie tutto ciò che circonda il protagonista e la pletora dei vari personaggi che compongono l’intero mosaico, in modo tale da rendere la lettura una piacevolissima passeggiata tra le pagine. Passeggiata, certo, non priva di scene d’azione e sorprese adrenaliniche che assicurano un ritmo serrato e incalzante.
Ma torniamo un attimo al personaggio principale: lui, Luca Wu, il vicequestore italocinese che Cotti deve aver creato con tanto impegno (e si vede!). Un personaggio particolare, un traditore seriale, un soggetto tronfio e quasi narcisista, che però si barcamena in una sorta di dualità personale che non riesce a trovare fine. Se da un lato è solito confermare le sue sicurezze, dall’altro palesa in modo del tutto naturale e imprescindibile le sue fragilità. Perché Luca Wu è un uomo che fatica a identificarsi completamente, un uomo alla continua ricerca di un equilibrio interiore; costipato tra le due personalità che lo abitano, quasi stretto in un mondo che lui a stento riconosce. Come la sua anima.
E sarà proprio ne “L’impero di mezzo” che Wu avrà l’occasione di scoprire qualcosa in più sulle sue origini. Un’occasione che gli si presenterà quando i suoi nonni decideranno di tornare un’ultima volta a Caoping, il loro villaggio natale. E Luca Wu, senza troppi ripensamenti, li seguirà come un buon segugio, approfittandone per allontanarsi da Roma e dal commissariato di Torpignattara.
Quella che però sarebbe dovuta essere una mera opportunità di riscoperta, si trasformerà ben presto nell’ennesima indagine cui Wu prenderà inesorabilmente parte.
Cosa succede?
Un noto imprenditore italiano, Carlo Grande, precipita dal diciassettesimo piano di un parcheggio a Wenzhou, senza alcuna possibilità di sopravvivenza.
Il magnate della Penisola è caduto accidentalmente o è stato spinto da qualcuno?
Questo è l’interrogativo che ci si pone sin da subito, sin dalle primissime pagine, in cui viene descritta la caduta di Grande in modo eccepibile, quasi da darci l’impressione di precipitare insieme a lui.
Il romanzo si muove tra i meandri di una Cina moderna, una Cina che i nonni di Luca faticano a riconoscere. Una Cina nuova. Che non fa solo da cornice narrativa all’intera storia, ma ne è parte integrante; tanto da meritare quasi di essere considerata come un vero e proprio personaggio. Perché quella che Cotti descrive non è soltanto una città, ma un’anima viva, fatta di grattacieli, di tecnologie all’ultimo grido e atmosfere convulse proprie delle megalopoli, certamente, ma anche di oscurità e criminalità che ne costituiscono forse l’aspetto più intimo e feroce.
Un’altra nota positiva da riconoscere a Cotti è il modo in cui l’autore ha costruito l’aspetto psicologico – e non solo – dei personaggi. Di ognuno di loro. Personaggi reali e realistici, sensibili e fragili come lo stesso Wu, che incontrano difficoltà e sbagliano proprio come noi comuni esseri mortali. Personaggi che non possono contare su una Deus ex machina che li aiuti in alcun modo. Personaggi veri. Persone vere.
E questo per dire che Cotti sa bene come arrivare fin dentro l’animo del lettore, ammaliarlo e convincerlo a credere a ciò che lui gli sta dicendo, assicurandogli un viaggio che difficilmente potrà essere dimenticato.
Simone Bocci