Ho aspettato di essere in Basilicata, la mia terra, prima di leggere “Dimenticami dopodomani”. Ho aspettato di sentirmi a casa perché sapevo che lo scrittore, lucano anche lui, avrebbe raccontato delle sue origini, delle nostre origini e avevo bisogno, leggendo, di sentire certi profumi e sapori; di guardare gli orizzonti che uniscono tutti coloro che partono e che almeno in un momento della propria esistenza da migranti pensano di ritornare. Di solito non lo fanno.
Ho letto questo libro tutto d’un fiato, due volte, soffermandomi lì dove ho riconosciuto la mia stessa nostalgia per una terra matrigna che allontana i propri figli senza dar loro la possibilità di ritornare. E nonostante questo, c’è qualcosa di inspiegabile che ti riporta sempre a casa. In questo libro però ho trovato molto altro. Ho trovato l’intero universo. Ho trovato l’umanità intera, con dissidi, sofferenze, sogni infranti. Ho trovato luoghi e volti sconosciuti che sono divenuti immediatamente i miei luoghi e i miei volti, verso i quali ho sentito una fortissima familiarità. Ho trovato un uomo, Andrea Di Consoli, che con grandissima generosità ha parlato della sua vita, di come lui l’ha sentita, senza nessuna finzione. Forte arriva la sua verità, così forte da creare immediatamente un legame emotivo che ti fa sentire parte dell’intera narrazione. Nessuno si racconta più veramente, si cercano parole per nascondere ciò che non si è pronti a vedere e mostrare agli altri. Di Consoli si vede e si mostra con una delicatezza e sensibilità rare.
“Non ho rimpianti, ma forse dovrei imparare a guardare meglio la mia faccia allo specchio, a questo punto della vita, perché nessuno ha il coraggio di dirti che sei ridicolo, quando lo sei per davvero.” L’autore in “Dimenticami dopodomani” (Rubbettino, 2024, 208 pagine, 15,20 euro) si guarda allo specchio e lo fa con coraggio, il coraggio di chi consapevole di ciò che è intimamente, non ha timori nel mostrare le proprie fragilità. È in quelle fragilità che il lettore si riconosce, è in quelle fragilità che la narrazione diviene universale.
Non conosco Andrea di persona ma dopo aver letto le sue parole ho provato un sincero affetto nei suoi confronti, un affetto che nasce dal suo essersi messo completamente a nudo. Estremamente generosa la sua scrittura, ci ha regalato un sentire non mediato né edulcorato. Ci ha mostrato un uomo consapevole e completo, che ha trovato negli sguardi degli altri una propria dimensione; che ha calpestato le strade di luoghi a lui cari legandoli per sempre alla sua vita e che ha cercato di rimanere in piedi in un difficile equilibrio tra il ritorno al passato e l’andare verso il cambiamento. L’autore ci dona i suoi ricordi più intimi: la falegnameria di Franco, la casa abbandonata di Peppinella e Vincenzina, la vigna di Greci; ci parla di momenti importanti con Anna e Claudio, i suoi figli, in una quotidianità che sa di vita vera. Ci racconta di Roma, di Napoli e di Fratta, il luogo che lo tiene legato con radici forti e lontane; di Enza e la notte sul Pollino e di tutto ciò che ha segnato la sua esistenza.
“Non sono mai riuscito a dire fino in fondo che, quando piango, quando perdo, quando mi manca qualcosa, quando sto per cadere, quando provo dolore, io sono felice. Perché sento emozioni feroci che rendono la mia vita un corpo vivo e pieno di sangue caldo”.
Il libro racconta ciò che succede ad un uomo quando decide di riconoscere e affrontare tutte le emozioni, anche le più scomode. Quando, consapevole di ciò che è, del tempo che passa, della vita che cambia e del desiderio di afferrare e lasciare andare contemporaneamente, riesce a reinventarsi, ricominciare, vivere a pieno ciò che il destino potrà riservargli. Una prosa che è poesia, uno stile assolutamente personale e non perché racconto autobiografico, ma per le parole e i silenzi usati che rendono le immagini così nitide da poterle vedere. La scrittura è così chiara, diretta, priva di fronzoli che si potrebbe leggere ad occhi chiusi, immaginando.
Grande protagonista del libro è la solitudine con la quale Di Consoli si difende dal mondo: ricercandola in luoghi sconosciuti, come un motel in cui si rintana solo per dormire in una notte qualunque; e ritrovandola suo malgrado anche in mezzo alla gente.
“Ma per non farmi troppo male ho dovuto imparare la solitudine, che è l’unica arma che abbiamo per non farci calpestare dagli altri.”
Ed è proprio in mezzo alle diverse sfaccettature della sofferenza che ritroviamo ciò che per l’autore è la felicità. Una felicità diversa, una felicità sussurrata, che poco ha a che fare con i facili entusiasmi. La felicità di Andrea Di Consoli è fatta di piccole cose. È una felicità che arriva all’improvviso, una felicità in cui l’autore inciampa mentre è occupato a vivere. Come quando in un parco di Fuorigrotta, una sera, ha brindato con un arabo, un perfetto sconosciuto, mentre la vita era altrove.
In questo libro l’autore ci racconta come si fa a lasciare andare le cose senza perderle mai. Ci mostra come si possa continuare ad essere circondato dalle persone che ormai non ci sono più, con un pezzo di cuore che rimane incastrato tra ieri e il per sempre.
In questo libro mi sono sentita al sicuro, mi sono sentita fragile tra fragili, mi sono sentita a casa. In quel sud che mi abita, da sempre; quel sud che è conforto e punizione; quel sud che è il posto che ci accoglie e respinge da cui cerchiamo di liberarci ma a cui non sappiamo rinunciare mai completamente.
Nancy Citro
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Andrea Di Consoli, Dimenticami dopodomani, Rubbettino, 208 pagine, 15,20 euro