Quando hai esordito con un libro come “Io sono la bestia”, le aspettative per il secondo sono altissime. Provo a mettermi nei panni di Andrea, provo a immaginarmi quanto possa essere difficile approcciarsi alla pagina bianca sapendo che mezza Italia sta aspettando la conferma. Hai scritto una cosa maestosa e appuntita. Uno spartiacque che ha fatto discutere per mesi. Ora la gente ne vuole ancora.
Quindi cosa puoi fare?
Puoi scegliere di restare nel tuo selciato. Puoi accontentarti, e accontentarli.
Oppure puoi fare un passo avanti.
Magari è un rischio, magari è un baratro. Magari te lo sconsigliano tutti. O magari quel passo non è solo un passo e si può trasformare in un salto. Un balzo verso un territorio sconosciuto, evanescente. Un limbo privo di regole, un po’ come quella stanza rossa tanto cara a Lynch. Un tempo sospeso tra la vita e la morte.
Si parte da un letto. Da una ragazza che giace in coma su quel letto. Una notte d’estate, un incidente. Qualcosa è successo. Qualcosa che intuiamo soltanto. Miriam non può parlare ma le sue parole ci arrivano lo stesso. È tutto merito di Andrea, quel metallaro goffo, insicuro che suona la batteria in gruppo di paese e che potrebbe stare ore a raccontarle quali bacchette siano le migliori da usare per una frullata e che Miriam ha conosciuto per caso, in quel locale gotico dove le piaceva andare a sentire i concerti da sola per poi rientrare a piedi sotto la luna. Uno scherzo del destino, due battute, una birra, il volere della carne consumato in una notte. Andrea e Miriam, due corpi dentro un’auto che dondola in balia del vento. Intorno solo gli ulivi, le foglie che frusciano come sussurri. Una notte. È bastata una notte per farli incontrare, una sola notte per incrinare la scorza di quell’anima pura e affilata come il diamante.
Miriam, bellissima, inarrivabile, arresa alle parole di Andrea, a quel suo modo testardo di non cedere nemmeno davanti al rifiuto più feroce. Lei gli sputa veleno addosso. Lui si mette a nudo, le cicatrici tutte esposte, non vede che lei.
È bastata una notte a creare un legame. E adesso, davanti a quel letto, il legame se ne fotte di tutto il resto. Della scienza, della religione, delle credenze paesane, delle superstizioni di papa Nanni, il santone del paese a cui tutti sono devoti e che ora prega e implora un Dio clemente che la riporti a sé, mentre tutti gli altri continuano a confidarsi e confessarsi davanti al suo corpo immobile. Piegati, pentiti, come si fa in chiesa sotto i piedi delle Madonne. E da quei monologhi escono cose. Cose del passato, fragili, pericolose. Cose che hanno a che fare, con Mara, con Lucio, una madre e un padre già segnati dalle ferite di una tragedia passata. Cose radicate nelle piaghe di una terra arcaica che non ce la fa ad abbandonare i propri fantasmi. Una terra dove la religione trascende la devozione, dove un tamburello battuto sulla fronte ha la stessa potenza di un esorcismo e le parole di un santone possono diventare ossessione.
Ed è proprio questa ossessione che torna come un mantra, attraverso una narrazione scandita dalle voci che danno vita a questo romanzo polifonico, oscuro, sensuale, che si muove al ritmo di una Taranta, che ci piglia a forza e ci trascina di nuovo in quella terra, il Salento, quel sud nerissimo, amato, odiato, viscerale. Andrea non vuole lasciarlo, il Salento è la sua Twin Peaks mediterranea, un luogo di confine circondato da scogliere battute dal vento e distese di ulivi malati. Ed è un tornare che spaventa e ammalia con lo stesso fascino perverso delle tradizioni, delle fiabe narrate a lume di candela, delle dicerie popolari nascoste sotto nuvole d’incenso. Siamo spaventati dai deliri di papa Nanni, vorremmo scappare da Gabry, amica del cuore di Miriam che se n’è andata a fare la fighetta a Bologna perché non c’aveva il coraggio di affrontare i suoi sentimenti. Vorremmo una vita come la sua, leggera, lontana da ogni vergogna. Una routine di festini universitari consumati sotto portici che puzzano di canne e piscio, con l’unica preoccupazione di passare il prossimo esame, ma quella terra da cui anche lei è stata generata è una condanna e il suo richiamo è una mano a cui non ci si può sottrarre.
E quindi si torna lì. Assieme ai fantasmi. Quei fantasmi che oggi hanno un nome e un cognome. Che si gettano in prima persona dentro la pagina per dare forma alle proprie fragilità e diventare parte di una storia onirica ed esoterica che prima di ogni cosa è una storia di legami. Legami di sangue e di cuore, legami che prendono forma mentre le pagine scorrono ipnotiche, trainate da una prosa che si fa poesia e di nuovo torna a quelle origini, a quel fulcro iniziale in cui ogni parola viene soppesata, valutata e musicata.
Andrea ha superato la prova. Il lettore è soddisfatto, ammaliato, sazio e di nuovo affamato. Il romanzo si è fatto ballata e ha tracciato uno squarcio immateriale, spaventoso e ammaliante.
Stefano Bonazzi