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Andrea Levi. Genetica dei ricordi

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La plasticità della memoria fa sì che essa ristrutturi se stessa per consentirci di giocare con i ricordi a seconda di quel che a noi conviene. È l’informazione genetica a costituire la struttura materiale che consente al sistema di funzionare, e il suo viaggio attraverso il cervello rappresenta la danza essenziale sottesa a ogni ricordo.

La durata della memoria umana è spesso nell’ordine di anni o di decenni, mentre è opinione corrente che tutte le molecole del nostro corpo, con l’eccezione del Dna, abbiano un turnover di giorni, settimane, al massimo mesi.

Come può la memoria essere conservata nel cervello con un meccanismo che sia indipendente dal turnover delle molecole?

Ecco allora che per Andrea Levi risulta sempre più evidente che la memoria, che inizialmente si pensava essere conservata per mezzo del solo rafforzamento dei circuiti neuronali, richiede anche la trascrizione del Dna, oltre la sintesi di Rna e di proteine.

A costituire la materia della nostra identità è dunque l’insieme di ciò che abbiamo appreso e più o meno consapevolmente ricordiamo, in aggiunta al nostro patrimonio genetico e ad alcune caratteristiche innate quali il carattere e le capacità cognitive.

Ogni esperienza è un’educazione, nella misura in cui crea e porta alla luce nuove caratteristiche dell’io, dando loro linfa vitale.

Come le onde marine, i ricordi bagnano il corpo di chi li evoca ma non si lasciano trattenere dalle sue mani. Come il mare, la memoria si estende vasta e indefinita, apparentemente intangibile, ma in verità composta da una materia precisa, ordinata compatta.

Utilizza questa metafora Levi per rendere l’idea di quanto sia in realtà potente la memoria, apparentemente intangibile eppure così concreta. Ci accorgiamo della forza del ricordo ogni qual volta lo vediamo causa del nostro ridere o piangere.

Ma di cosa è fatta la memoria? Anch’essa, come le onde, sembra a prima vista composta di una materia liquida, che ci scivola addosso. D’altra parte, però, il corpo della memoria è perfettamente solido. Ogni ricordo è reso possibile da un vasto insieme di micro-entità vive, reattive e tridimensionali, ognuna delle quali ha una propria specifica fisicità.

I circuiti neuronali costituiscono l’hardware determinato dall’informazione contenuta nel Dna durante lo sviluppo umano. La plasticità sinaptica – ossia la forza delle connessioni tra i neuroni, che varia al variare dell’attività cellulare – rappresenta invece il software, dal quale deriva l’abilità di memorizzare una specifica informazione e non un’altra.

Genetica dei ricordi indaga sul legame tra la parte più immateriale di noi, la memoria, e quella più infinitesimale, le nostre cellule.

Fin dall’antichità, la memoria è stata considerata una delle tre facoltà che caratterizzano l’uomo, insieme alla volontà e all’intelletto. Differentemente dai più semplici riflessi motori, infatti, tutte le attività cognitive necessitano di creare, consolidare e rievocare ricordi. Fin dal secolo scorso è stata postulata l’esistenza di microcircuiti neurali specifici che fungessero da substrato e traccia per la memoria. Grazie agli enormi progressi delle tecniche di neuroimaging degli ultimi dieci anni, tali unità fondamentali – chiamate engram – sono state mappate in vivo in alcuni laboratori.

Il processo di consolidamento della memoria da breve a lungo termine, alla base dell’engram, può essere emulato con successo anche in substrati artificiali. Per ottenere tale risultato, i ricercatori hanno utilizzato connettomi di nanofili (nanowires) memresistivi, cioè reti connesse su scala nanometrica – la stessa delle sinapsi biologiche – che mostrano le tipiche funzioni neurali.1

Lo psicologo americano Endel Tulving ha sostenuto che ricordare significa viaggiare nel tempo, un tempo mentale ovviamente, che segna il trascorrere della nostra vita e determina la continuità della nostra identità personale. L’idea del ricordo come “viaggio mentale nel tempo” mette in luce un aspetto fondamentale del funzionamento della memoria umana: ciò che chiamiamo “ricordo” è fatto di elementi diversi – immagini, suoni, odori, emozioni – che derivano dal funzionamento di sistemi mnestici differenti ma in interazione tra loro. Il collante siamo noi stessi, è la nostra soggettività. Per essere vissuta come “ricordo” l’informazione deve essere recuperata in un preciso tempo e luogo e con un riferimento a se stessi in quanto partecipanti all’episodio.

Nel linguaggio comune, il termine “ricordare” può avere un duplice significato: possiamo recuperare dalla nostra memoria fatti ed episodi del passato, quindi quello che abbiamo già vissuto, oppure possiamo ricordare i piani, le intenzioni, le azioni che svolgeremo in futuro. Tecnicamente si parla di memoria retrospettiva nel primo caso e memoria prospettica nel secondo.2

Ma la memoria non è solo ciò che siamo in grado di ricordare consapevolmente del passato, è l’insieme dei processi in base ai quali gli eventi del passato influenzano le risposte future. I circuiti cerebrali “ricordano” e apprendono dalle passate esperienze attraverso un’accresciuta probabilità di attivazione di determinati pattern di eccitazione, cui conseguono delle modificazioni sinaptiche sia in senso quantitativo sia di localizzazioni. Il ricordo è il risultato della costruzione di un nuovo profilo di eccitazione neuronale, che presenta le caratteristiche proprie particolarmente intense e traumatiche.

La memoria esplicita ha tra le sue caratteristiche essenziali il suo opposto: la possibilità di dimenticare. In questo modo non memorizza tutto ciò che ci accade, ma particolari eventi e in questo meccanismo di selezione sicuramente le emozioni svolgono un ruolo fondamentale, perché attivatrici o inibitrici dei complessi sistemi cerebrali.3

In senso stretto, quindi, si intende per memoria la facoltà umana di conservare le tracce delle esperienze passate e di avere accesso ad esse – almeno in parte – mediante il ricordo. Nel senso più ampio possibile, invece, la memoria può essere intesa come la capacità di un sistema complesso – vivente o artificiale – di immagazzinare informazioni relative a situazioni ed eventi che si succedono nel corso del tempo, modificando così la propria struttura in modo tale che la reazione a situazioni ed eventi successivi è influenzata dalle acquisizioni precedenti.

La memoria storica è una forma di memoria “speciale”, quella che conserva rappresentazioni di avvenimenti, persone, situazioni o oggetti di cui il soggetto non ha avuto esperienza diretta, ma che appartengono a un passato che ha preceduto la sua vita, e di cui possiede dunque una memoria mediata da racconti altrui. La memoria storica svolge la funzione di collocare i soggetti nel tempo della storia.4

È possibile che ci sia una regione del Dna – o forse un Rna – che codifica per ciascuna spina sinaptica e che questa sia modificata quando è necessario alterare la forza di quella sinapsi. Per Levi, questa ipotesi di Francis Crick, Nobel per la medicina nel 1962, non è tanto lontana dal vero.

Esistono casi in cui quei cambiamenti strutturali e funzionali delle sinapsi che sono alla base della Ltp – Lipid transfer protein – possono essere persi e poi riformati, garantendo tuttavia il mantenimento dell’engramma e quindi dell’evento memorizzato. Questo implica che l’informazione necessaria per potenziare il circuito in questione deve essere immagazzinata in qualche modo dai neuroni, ma non nelle sinapsi in quanto, una volta persi, i cambiamenti funzionali e strutturali non potrebbero rigenerarsi da soli.

Gli esperimenti più convincenti a sostegno dell’esistenza di meccanismi molecolari per la conservazione delle memorie presenti all’interno dei neuroni ma al di fuori delle sinapsi sono stati compiuti utilizzando topi modificati con opportune tecniche di ingegneria genetica, i Trap – Target recombination in active populations.

Bisogna guardare ai meccanismi epigenetici. Stando all’ipotesi epigenetica della memoria, questi stessi meccanismi molecolari possono permettere ai neuroni che fanno parte di un engramma di “ricordare” quali proteine specifiche essi avevano sintetizzato durante la Ltp e in che modo avevano modificato le sinapsi. In altre parole, permetterebbero di riformare le connessioni rafforzate tra i neuroni che incarnano la memoria.

Tutte le cellule del nostro corpo, con poche eccezioni, condividono il medesimo patrimonio genico, ossia la sequenza del Dna, ma ogni tipo di cellula esprime il suo repertorio specifico di proteine.

Una lunga serie di esperimenti ha dimostrato che interferire con meccanismi epigenetici nell’animale inibisce la L-Ltp e, più in generale, la formazione di memorie a tempi lunghi.

Col tempo, l’engramma di una memoria esplicita è maturato in modo tale da far sì che parte dell’informazione finisca per risiedere in regioni diverse dell’ippocampo.

Secondo la teoria standard del consolidamento di sistema, rievocare più e più volte delle memorie di antica fattura consentirebbe di ristrutturare i circuiti neuronali al punto tale da automatizzarli rispetto all’ippocampo. Le memorie di nascita più recente, al contrario, non riuscirebbero a completare il consolidamento, mantenendosi perciò dipendenti dall’ippocampo e alterandosi in caso di un suo danneggiamento.

La teoria delle molteplici facce – multiple trace theory – afferma che ricordare un evento equivale a riscriverlo, cosicché a ogni rievocazione corrisponde la nascita di nuovi engrammi. E ciò si avvicina molto all’idea dell’autore per cui ricordo e vita sono affini. Il ricordo è una vita reiterata.

Irma Loredana Galgano

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Andrea Levi, Genetica dei ricordi. Come la vita diventa memoria, Il Saggiatore, Milano, 2023.

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1G. Milano, A. Cultrera, L. Boarino, L. Callegaro, C. Ricciardi, Tomography of memory engrams in self-organizing nanowires connectomes, Article number: 5723 (2023), Nature Communications.

2M.A. Brandimonte, Sistemi di memoria, in V. Girotto, M. Zorzi (a cura di), Manuale di Psicologia generale, Il Mulino, Bologna, 2016.

3S. Domenichetti, La memoria: tra il ricordo e la perdita, Journal of Psychopathology, 4-2003

4P. Jedlowski, Memoria, esperienza, modernità. Memorie e società nel XX secolo, Franco Angeli, Milano, 2002.

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