Oltre che grandioso questo romanzo di Andrea Tarabbia, vincitore la settimana scorsa del “Premio Campiello” è una partitura musicale dove al suono si sostituisce la musicalità di una prosa che è una vera e propria lezione di alta letteratura. Il che non deve allontanare il lettore, anzi: l’abilità di Andrea Tarabbia, nato a Saronno nel 1978 ma da anni residente a Bologna, è proprio nel saper coniugare altissimi vertici letterari con una narrativa popolare che ha un andamento che evoca due facce della stessa carta: Manzoni e Fogazzaro. Se da una parte la perfetta ricostruzione storica ha echi manzoniani, dall’altra si respirano le atmosfere gotiche di Fogazzaro. Unico peccato (veniale): certi passaggi troppo alla Patrick Süskind del celebre romanzo “Il profumo”. Il protagonista è un uomo solo, tormentato: Carlo Gesualdo, più noto come Gesualdo da Venosa, compositore nato e vissuto tra Cinquecento e Seicento, cittadino del Regno di Napoli. Appartenente alla nobile famiglia dei Gesualdo, il suo nome è legato principalmente alla musica: eccelse infatti nella musica polifonica e come compositore di musica sacra. Accanto alla carriera artistica, Gesualdo acquistò anche la triste fama di assassino macchiandosi del delitto della prima moglie (nonché cugina) Maria d’Avalos e del suo amante Fabrizio Carafa. Tarabbia ricostruisce la sua storia, di uomo e di artista, attraverso lo sguardo di Igor Stravinskij, il grande compositore russo del ‘900 nato in Russia ma naturalizzato americano, che ritrova il diario di Gesualdo. Tra realtà e finzione siamo catturati sin dalle prime pagine in una vicenda di musica e morte, di genio e follia, di arte e di note che Tarabbia riesce a non far diventare mai stonate: un’impresa non facile perché Gesualdo da Venosa è stato un uomo perennemente in bilico esistenziale. Se la legge dell’epoca non poteva perseguirlo perché una moglie fedifraga minacciava la continuità della stirpe nobiliare e andava punita, dall’altra sono tantissime le leggende che lo ritraggono: nascono ballate, voci popolari che alimentano la percezione di Gesualdo come la figura di un demonio, un sanguinario capace di strappare il frutto illegittimo della colpa dal ventre di una Maria morente. Eppure in questa vicenda terribile, che porta un uomo a uccidere la donna che ama per sottostare alle consuetudini della propria epoca, Gesualdo da Venosa scopre il proprio talento: inizia a comporre, diventando uno dei musicisti più originali e autorevoli del suo tempo e dei nostri giorni. Persino Franco Battiato gli ha dedicato il brano “Gesualdo da Venosa”, contenuto nell’album “L’ombrello e la macchina da cucire” (1995) e Tarabbia è abilissimo nel ritrarre non solo i protagonisti, ma anche i personaggi emblematici delle due epoche, il Cinque-Seicento di Gesualdo e il Novecento di Igor Stravinskij: da Aldous Huxley a Giordano Bruno, dal Cardinale di Venezia Angelo Roncalli a Torquato Tasso. Tarabbia, già autore dei romanzi “Il giardino delle mosche” (Ponte alle Grazie) e di un capolavoro assoluto come “Il demone a Beslan” (Mondadori, si prega riedizione negli Oscar), si conferma lo scrittore che, insieme a Giorgio Falco autore de “La gemella h” (Einaudi, da non perdere), rappresenta il presente e il futuro della nuova grande Letteratura contemporanea.