In(tro)duzione
Angelo Orazio Pregoni non è un mio amico.
Tanto che ogni tanto, anzi spesso lo chiamo Pregnoni.
Forse perché è pregno. È degno.
E dignità oggi è ciò che più raro può accadere a un artista ma soprattutto a uno scrittore.
Ho conosciuto Angelo Orazio Pregoni – che ancor più spesso per me diventa Angelo Ignazio Pregnoni.
L’ho conosciuto attraverso questo romanzo – che ho letto in anteprima.
Non so chi sia Angelo Orazio Ignazio Pregoni Pregnoni ma so che la lettura di questo romanzo mi ha sconvolto.
Anzi: sco(i)nvolto.
Non solo perché piano piano sono diventato uno dei personaggi, tipo in un action painting che qui diventa action writing, ma perché ho trovato quello scrittore che in Italia manca.
Non sono abituato – non perché non me lo chiedano, anzi – a scrivere introduzioni a scrittori italiani.
Anche perché per lo più le introduzioni sono induzioni.
Ma in questo romanzo ho trovato quello che manca a molti scrittori non solo italiani: l’invettiva della fantasia e la razionalità dell’autore consolidato.
Sono rimasto esterrefatto: è come se Guido Morselli, nascosto dall’impermeabile di Luciano Bianciardi, avesse incontrato il Tom Robbins di “Uno zoo lungo la strada”, William Burroughs e lo scrittore americano che ancora non c’è.
Le pagine sono liquido amniotico, sono esplosioni di fantasia deturpate dal reale.
C’è realismo – estremo – perché ogni frase è una incisione tra il rupestre – selvaggio e quindi onesto – e un surrealismo che non ci allontana mai da quella vita che per molti, troppi, è un training quotidiano di quieta disperazione.
Non mi sono trovato, alla fine, come uno dei protagonisti, ma sono rimasto prigioniero – libero – di una scrittura che in Italia non ha pari perché la fantasia non è quella al Potere ma una fantasia senza briglie, una fantasia che coniuga ironia, autoironia, cultura, ma soprattutto arte. Tra personaggi surreali e altri ancor più surreali perché oltre la realtà che non vediamo perché chiudiamo gli occhi non ho nessuna remora a scrivere che è una delle poche volte che ho invidiato chi ha scritto.
Molto spesso ho pensato: gli rubo una frase.
Il talento imita il genio ruba, diceva Picasso.
Ma davanti a un romanzo come questo non si può che rispettarlo: perché è uno sfregio al falso reale che ci circonda, ammanta, ammutolisce.
È come leggere un Michelangelo sfregiato da Fontana.
Non postmoderno ma oltre il moderno.
Adesso. Noi. Qui. In guerra con noi stessi. Vittime e carnefici di un conflitto invisibile che è il riflesso di noi stessi.
Amo le parole, ma quando ne trovo più potenti delle mie mi arrendo.
E per questo lascio a voi questo flusso di coscienza.
Perché è il nostro.
Gian Paolo Serino
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Poi l’estate arrivò, quella calda e lunga che mi aveva visto crescere: piccolo principino azzurro come la costa ligure, fidanzato con la sua prima continuativa esperienza femminile. Io tredici anni, Valentina dodici.
Valentina era la nipote di un vicino di ombrellone, aveva capelli lunghi e biondi, occhi azzurri e una terza di seno. Ogni volta che facevamo il bagno insieme, si nuotava verso il termine del mare delimitato dalla boa e ci si sfiorava reciprocamente con le mani nascoste dall’acqua, consumando l’aria del piccolo golfo con respiri sussurrati e battiti accelerati, come se la baia fosse una bombola di ossigeno condivisa in due, insufficiente a entrambi, costretti ad alternare sospiri e apnee.
Poi c’era Stella, una zingara di quattordici anni che viveva in una roulotte con sua madre e molti altri genitori.
Stella frequentava la spiaggia libera, e arrivava verso il tramonto, quando tutti gli asciugamani del giorno andavano via lasciando sudate sagome di corpi sulla sabbia.
Con Stella nuotavo verso il termine del mare delimitato dall’orizzonte, ben oltre la boa. E restavamo in acqua oltre la penombra serale, lei mi prendeva la mano sinistra e vedendola corrugata dall’acqua mi diceva ogni volta:
“Ora hai cambiato la tua vita. Le tue linee sono sempre in evoluzione e la tua sorte è ignota. Quando saremo a riva, tutto tornerà come prima, e la tua mano ti porterà al guinzaglio sino alla morte.”
Non volevo credere alle cose che mi raccontavano sugli zingari, e non pensavo che Stella fosse una bambina rapita da un’altra famiglia, perché Stella era amata dai suoi genitori -veri o presunti-, era amata da tutti e anche da me.
Un giorno, dopo una pioggia intensa, Stella sparì, come le ruote di una carovana che avevano lasciato profonde nostalgiche tracce sul terreno del campo sterrato e un po’ di polvere sull’asfalto, verso ovest, verso la Francia.
“Ecco! Vanno via e lasciano la spazzatura a terra. Maledetti zingari.” disse una donna avvolta in un pareo con un bambino per mano.
“Mamma, mamma mi compri il ghiacciolo?”
“Smettila, o chiamo gli zingari che portino via anche te!”
Da quel giorno la mia mano sinistra ha continuato a condurmi verso il mio destino, ma non ho più permesso a nessuno di dirmi chi amare e chi odiare, per cosa illudersi e per cosa vivere.
E i confini, le distanze e gli orizzonti del mondo e dell’animo sono solo affar mio e di chi mi volesse nuotare accanto.
(…)
Popduebirre, detto Pop, era egiziano di padre e ginevrino di madre. Aveva circa cinquant’anni e da trenta lavorava come cameriere in un karaoke di lusso in Avenue de la République, Le bon Chanteur, dove servono solo vino.
Venne soprannominato Popduebirre per i suoi autoritratti che stampava a colori acidi e regalava a chiunque gli offrisse un paio di birre. Rinunciò alla sua carriera da artista bohemien a soli diciassette anni, quando cadde in depressione dopo aver messo incinta sua cugina. Quell’esperienza di sesso e passione durò appena quarantacinque secondi. Era stata la sua prima volta, per la seconda dovette attendere il matrimonio con la cugina che si tenne dopo circa otto mesi, proprio prima della nascita dei tre gemelli: Abbas, Adan e Anas.
“Devi scrutare nel buio delle profondità per arrivare alla luce in superficie. E non è detto che quando avrai la possibilità di vedere ogni cosa chiaramente, i tuoi occhi non continuino a desiderare il buio.” disse Sabri salutando Pop.
“Quando nel nulla di una notte i tacchi di una donna scolpiscono il silenzio, quei passi scandiscono il tempo dell’universo, come un suono primordiale.” rispose Pop.
“Ma come parlano?” sussurrò Foresta a Sonny.
“Non ne ho idea! Sarà un modo di salutarsi tra cugini.” bisbigliò Sonny.
“Come sta tuo figlio Anas? Lavora sempre in officina?”
“Sta bene, Sabri. Ma il meccanico è Abbas!”
“Ah, giusto! Anas è cuoco.”
“No, il cuoco è Adan, lavora da Abab, un turco che fa kebab.”
“Scusa Pop, ma che lavoro fa Anas?”
“È disoccupato.”
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PRIMA CHE IL PEGGIO ACCADA
Angelo Orazio Pregoni
Un libro nel libro, una storia drammatica, tra il surreale e il comico, che ipotizza un noir! Una tiratura limitata e numerata in sole 130 copie.
Non c’è un protagonista in questo romanzo. Il vero protagonista è il Caso che intreccia storie di persone reali ed esistenti con altre di fantasia. Tanto da ritrovare al suo interno lo stesso Gian Paolo Serino, critico letterario e scrittore a sua volta che dedica a questo romanzo un’introduzione mozzafiato e la quarta di copertina.
“…una scrittura che in Italia non ha pari perché la fantasia non è quella al Potere ma una fantasia senza briglie, una fantasia che coniuga ironia, autoironia, cultura, ma soprattutto arte.” Sostiene Gian Paolo Serino.
Con un cinismo dissacrante ma in odore di santità, Angelo Orazio Pregoni scrive il libro perfetto, ossia quello che esula dai criteri statici di perfezione: “Prima che il peggio accada.”, pubblicato in autonomia, senza editore, in sole centotrenta copie!
Centotrenta copie di un libro la cui vendita è destinata a ricompensare il suo lavoro di artigiano della parola, la sua fatica e opera di scrittore.
Angelo Orazio Pregoni è un artista sinestesico in crisi. Nonostante i successi conferitigli da diversi ambiti artistici, dalla profumeria, alla pittura fino alla scrittura, Angelo non riesce a raggiungere la felicità, anzi si sente privato della propria vita, carente di verità. Dopo aver disvelato il valore fittizio del proprio personaggio, Angelo cerca dunque di indagare quale forma di sé stesso sia percepita dal suo pubblico e se il vero sé stesso si sia alienato definitivamente dall’artista rappresentato e descritto dagli altri.
L’occasione per indagare il suo passato e individuare i legami con il presente si presenta in un incontro, in una conversazione con un critico letterario sui generis, Gian Paolo Serino.
GPS, ossia Gian Paolo, è un uomo di antichi saperi e moderni vizi, con la sola aspettativa di essere rapito da un extraterrestre oltre che di godere di ogni istante della vita. I due diventano da subito complementari e GPS convince Angelo a scrivere un libro sulla sua storia, ma Angelo nutre molti dubbi sulle potenzialità di questo romanzo. Tuttavia, inizia a scriverlo, confrontandosi continuamente con GPS. Ma per valutare con certezza il presunto appeal del suo vissuto, e di un potenziale romanzo, Angelo decide su due piedi di raccontarsi in un’e-mail indirizzata a un gruppo di persone che si lamentano della chiusura della palestra il mercoledì mattina. Si rivolge alla Signora Tenaglia e a un nutrito database di soci di quel club e scrive…
Scrivendo Angelo si emargina dalla forma e, rimuginando fatti pensieri e aneddoti del suo passato, sembra destinare a quel pubblico, inizialmente sconosciuto e silente, una diversa visione del suo “io”, dissimile dal personaggio raccontato da critici e giornalisti. Tuttavia, gli eventi precipitano, la vita reale lo pone davanti ad accadimenti che alla fine trasformeranno lui e GPS in coprotagonisti di questo libro, lasciando spazio a personaggi surreali in un continuo ribaltamento di fatti e morale.
Un noir che racconta una storia assurda e distopica tra Italia e Francia, rivelandoci come tutti siamo marionette di noi stessi oltre che della società: tra malcostume e falso bigottismo di stato, i personaggi del libro risolvono il mistero più grande di tutti: la propria vita.
Il libro si divide in Lettere e Capitoli e la narrazione passa dalla prima persona nelle Lettere, alla terza nei Capitoli. Questo meccanismo di intima autocritica e di ironica ma drammatica descrizione di sé stesso crea un caleidoscopio di storie passate e debolezze presenti che caratterizzano mordacemente l’autore dentro e fuori dal libro. Piccole manifestazioni di “normalità” di un artista sinestetico all’interno di una trama fitta che non dà il tempo di capire e metabolizzare nulla, inseguendo una sovra-realtà imponderabile… Sempre e comunque con lo stesso spasmo, prima che il peggio accada.
Senza dover inseguire il suo pubblico e senza volerne davvero uno, Angelo Orazio Pregoni premia 130 lettori dedicandogli un lavoro adesso artistico, un multiplo ma un originale, che (non abbiamo dubbi) in poco tempo aggiungerà valore a valore, proprio come un’opera d’arte.