Si ha la sensazione di entrare in uno luogo di profonda intimità sfogliando le pagine del terzo romanzo di Anna Adornato, già edita per Wojtek con il precedente Gli affetti provvisori. Una stanza di letti sfatti e giochi di gioventù in cui il tempo per il gioco però qui non è più concesso. Viene da muoversi con circospezione, pervasi dal timore di aver superato una soglia troppo privata, ci si sposta con cautela, un passo alla volta, per non correre il rischio di calpestare le foto sparse in terra, per non rischiare di cambiar posto ai vestiti “ammucchiati nei cassetti con una sciatteria furiosa”, per non intaccare il caos dell’uragano appena abbattutosi, che nulla ha risparmiato.
Chi scrive si trova in sincera difficoltà a parlare di un libro che rinuncia ad ogni comfort zone, cellula rara dal difficile paragone o accostamento, atomo impazzito che si svincola dalle convenzioni editoriali per proporci una storia in cui Amore e Dolore si scambiano di posto nel frangente di un paragrafo: Uguali\Diversi, Simone e Sophia, fratelli le cui vite si compensano e completano come tasselli di un puzzle i cui contorni sono materia labile in continua mutazione.
«Non sono due esseri terribili.
Ecco il loro alibi: loro amano. Ecco perché non amano nessun altro.
I loro alibi: non è che non hanno mai amato nessuno.
Ognuno l’alibi dell’altro. Così non devono fare fatica a cambiare.
Uguali. Diversi.»
Due caratteri quasi agli antipodi: lui morbosamente comprensivo, schivo, taciturno, pervaso da quella perenne e avvilente sensazione di trovarsi al cospetto di “Gente Che Ha Scelto”; verrebbe da pensare a un fallito, un giovinetto privo di nerbo e di obiettivi, non fosse che Simone un obiettivo ce l’ha: Lei.
Sophia, uguale/diversa, lei che non riesce a perdonargli il fatto di essere “l’unico”. L’unico a riconoscerla tra le curvature dei vetri, nei giochi di luce delle mattine bizzarre in cui “ogni cosa è indifferente per lui” e tutte le cose sono necessarie per lei: un gioco a somma zero.
Un gioco -non più di gioventù- che è anche esercizio di profonda libertà espressiva e in parte mi ha ricondotto nei territori dell’espressionismo esasperato di opere come quella di Naja Marie Aidt (Se la morte ti ha tolto qualcosa, tu restituiscilo – Utopia editore). Zone limbiche in cui la sintassi e la punteggiatura diventano argilla malleabile al servizio di un’estetica del testo che impone attenzione e profonda dedizione: ogni virgola è ponderatamente posizionata, le parole possono unirsi e farsi magma ribollente, ogni parentesi apre a una riflessione che non si limita al segmento in sé ma stimola il lettore a partecipare direttamente al flusso di psicoanalisi che si sta compiendo.
«Tutto era paragonabile alla Morte. O all’idea che ne aveva lei.
L’Idea. Come al solito un’Idea del Mondo.
Sapeva come veniva percepita lei dalla gente. Vivere e insieme tenere il conto e la responsabilità di quest’aspettativa degli altri era un modo di essere e nello stesso tempo essere fuori dal corpo.»
Nel tentativo di tracciare le coordinate di un rapporto incestuoso la cui linfa trae forza dalla continua alternanza di voce e piani temporali, la scrittura dell’Adornato, trasmette un’impellenza comunicativa di rara purezza.
Verrebbe da centellinare le pagine per stillare e preservare ogni singola parola concessa, tanta è unica la percezione di trovarsi al cospetto di una svestizione dei personaggi, ad un’espropriazione delle loro prigioni interiori che mette in luce le castrazioni di un’esistenza vincolante.
C’è un prima e un dopo in questa apologia del dolore, in cui l’esposizione si muove nei dettagli: il bisogno necessario di rifugiarsi in un colore, in un frammento di tessuto, nel lembo di una carne pudicamente privata ma la cui consistenza si muove nei ricordi. Torna l’impressione di muoversi attraverso una sequenza di istantanee sovraesposte, capitoli talvolta brevissimi, che si risolvono nella stilettata di una frase, in cui anche il bianco della pagina rimanda a una luce cerulea, fredda e lattiginosa, la stessa evanescenza dei ricordi che precedono il sonno o ne anticipano il risveglio.
«E all’improvviso, un’agnizione. Il rosa delicato quasi neutro che diventa un rosso: due che nella sterminata gamma di combinazioni a disposizione dell’universo potevano essere separati nel mondo e invece si amano, due che si amano mentre sono in mezzo al mondo.
E lui è lì.
Un modo nuovo – più doloroso – di sentirsi solo.»
Tornando al dubbio iniziale, viene dunque da chiedersi come definire un romanzo simile? Ma ancor più viene da chiedersi se ci sia davvero bisogno di definirlo? Se non sia il caso di lasciarsi semplicemente assimilare nel nucleo ambivalente di quest’ossario famigliare spolpato di ogni retorica lenitiva, accogliere il tributo di due corpi e due anime scomposte, incompatibili al mondo, comprensibili solo a se stesse, apprezzando, nella sua forma primordiale, l’inconciliabile disfatta della perdita.
Stefano Bonazzi
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Indivisi: storia di una salvezza
Anna Adornato
Wojtek Edizioni
16,00 euro — 140 pagine