Dopo due romanzi e una serie di racconti pubblicati su varie riviste, il 3 maggio, per Pidgin Edizioni, Daniele Scalese ha pubblicato il romanzo “Anna sta coi morti”. Oggi incontriamo su Satisfiction, per la consueta rubrica settimanale de Le Tre Domande del Libraio, lo scrittore di origine tarantina.
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Daniele, un romanzo a cui hai lavorato molto: ci racconti come è nata l’idea e ci porti anche nell’officina di lavorazione soffermandoti sul tuo percorso nella scrittura fino ad arrivare a questa prosa asciutta, scarna, affilata che caratterizza il libro?
Anna sta coi morti nasce da suggestioni combinate. La prima si lega a un caso di cronaca nera: la strage di Erba del 2006; ricordo la figura di Azouz Marzouk, che prendeva spazio in tv, e sembrava sempre più a suo agio. Inizialmente volevo raccontare la spettacolarizzazione della tragedia e come chi entra in contatto con le dinamiche televisive riesce gradualmente a farle sue e sfruttarle.
Ma il ricordo della malattia di mio padre ha guadagnato campo in me durante la stesura e trasformato il testo in una storia su una morte in attesa (da qui l’esergo di Borges “la vita è una morte che sta arrivando”). Anna sta coi morti diventa il racconto dell’attesa (del lutto, del figlio). E di come una relazione nasce e si rovina. Descrive ciò che tiene unite due persone che non vogliono più stare insieme. La malattia di Anna fa da acceleratore in una dinamica di allontanamento. Il testo insegue un equilibrio tra opposti: tra la sovraesposizione mediatica e l’intimità della malattia, tra Anna ed Enzo.
La scrittura scarna e affilata del testo rappresenta la condizione emotiva di chi racconta la storia: quella di uomo che vive e subisce la malattia di chi prima ama e poi detesta. In passato avevo pubblicato due romanzi molto diversi, con piccole case editrici, ma credo di aver affinato questo stile soprattutto nei racconti che hanno preceduto la stesura di Anna (che sono stati nel tempo pubblicati da riviste come Grado Zero, Sulla Quarta Corda, Risme). Ho limitato le descrizioni, le metafore: tutto è ridotto all’osso come Anna, come la relazione tra lei ed Enzo
Diversi piani narrativi per raccontare sapientemente una storia di sofferenza, più storie di sofferenza e disperazione. Da queste pagine di Satisfiction ci piace incuriosire il lettore nel racconto dettagliato della trama e degli intrecci…
Enzo incontra Anna durante un colloquio in obitorio: lui ha appena perso la sorella, si sta allontanando dalla madre dopo che il padre ha abbandonato la famiglia negli anni della sua gioventù. È un Enzo poco lucido quello che si aggrappa ad Anna: in lei cerca conforto, salvezza, pace. E nasce un rapporto sbilanciato: Anna è una donna consapevole, ambiziosa, si lascia assuefare dalla possibilità di salvare Enzo (lei, che nel frattempo ha iniziato a lavorare in obitorio, gestisce anche una pagina di crescita personale e si mette in testa l’idea di poter applicare a Enzo quello che ha appreso da letture e manuali). Nei quattro anni di relazione emergono le differenze tra i due, la precarietà di Enzo (che lavora saltuariamente in un call center; poi come accompagnatore per vedove finché sostituisce Anna in obitorio) e l’idea di salvare la relazione porta alla scelta estrema di avere un figlio. Ma poi arriva la malattia: e la malattia divora i residui del loro amore, tirando fuori il peggio di entrambi, che però si sentono costretti a restare insieme fino al termine della stessa. Quando il livello di sopportazione è minimo, lei gli chiede di andare via ma lui risponde che non può non starle accanto. È la dinamica della malattia a tenerli uniti e la leucemia diventa un collante. E l’unica via d’uscita per Enzo sembra diventare la morte di Anna (da qui nascono anche gli interrogativi sinistri sulla figlia che porta in grembo).
Enzo a un certo punto si distacca parzialmente e si avvicina a Emilia dell’obitorio, che sembra accoglierlo come fece Anna in passato: questo gli dà l’occasione per indagare su Federico, collega che era stato condannato per l’omicidio della compagna e che mostra atteggiamenti simili a quelli del padre di Enzo, prima che questi scomparisse. Attraverso Federico, e in generale nell’obitorio, Enzo indaga su chi è davvero. L’obitorio diventa il luogo del distacco da Anna e dal vecchio Enzo. «L’obitorio è un edificio usato per identificare i cadaveri. Io non sapevo chi ero. La mia non era una crisi di identità ma una sua ricerca. Quel luogo serviva a riconoscere me» riflette Enzo.
Ho letto il tuo romanzo, attratto e nello stesso tempo terrorizzato da una parola, mia nemica da sempre, letta nei lanci : leucemia linfoblastica acuta. Ho perso un nipotino di cinque anni e poi il mio compagno di una vita a causa di quell’insieme di parole. Dopo aver letto il libro, alla luce di questa mia esperienza con la malattia ma anche al netto delle riflessioni politiche contenute in una intervista, sul Corriere della sera, di Michela Murgia a proposito del suo tumore, la prospettiva di Anna ha assunto contorni profondi ma anche connotati parecchio contraddittori. Ne vogliamo parlare?
Ho vissuto la malattia di mio padre ai tempi dell’Università, mi ero trasferito a Lecce e tornavo a Taranto ogni due settimane. Papà s’era ammalato ma io sottovalutavo la malattia. Aveva iniziato la chemio, per me era solo molto stanco. Un giorno finì in ospedale. Ma io continuavo a ripetere a tutti che era una cosa da poco. Quando andai a trovarlo, mi trovai davanti uno sconosciuto: lui aveva perso una ventina di chili e il letto singolo dell’ospedale gli stava largo. Là ho capito la malattia. Il suo impatto visivo. La malattia ti coglie impreparato proprio visivamente. Non hai la possibilità di rendertene nemmeno conto quando arriva.
Nel romanzo, Il dolore non unisce ma distanzia e la morte/malattia diventa il minimo comune denominatore tra passato, presente e futuro di un testo in bilico tra il buio calmo della sala mortuaria e le luci violente della popolarità. Infatti la malattia accentua il divario tra Enzo e Anna, l’incomunicabilità, forse perché Enzo la vede subito quella malattia: ha perso la sorella, sa cosa succederà, si arrende alla catastrofe e dà la compagna per morta dal giorno delle prime analisi; lei invece non guarda in faccia alla morte mai. E anche quando non può ignorarla più, crea due messaggi distinti e contrapposti, quello pubblico e quello privato. Esiste Anna della tv e dei social e Anna della vita privata. Enzo crede sia una forma di ipocrisia, ma per Anna è una difesa. La totale distanza esaspera la coppia, che arriva a detestarsi. Più volte i due si sottolineano a vicenda che la malattia porrà fine alla loro relazione, e Enzo nei passaggi più complessi tenderà a considerare la malattia come una specie di benedizione.
Buona Lettura di Anna sta coi morti di Daniele Scalese.
Antonello Saiz