Per Le Tre Domande del Libraio su Satisfiction questa settimana incontriamo Alessio Forgione, in libreria dal 4 ottobre con “Anni felini”, edito da La Nave di Teseo nella collana Oceani. Romanzo che arriva dopo aver pubblicato per la stessa casa editrice nell’autunno del 2021 “Il nostro meglio”, giunto nelle nostre libreria dopo il dirompente esordio nel 2018 di “Napoli mon amour” per Nn Editore, a cui aveva fatto seguito dopo un anno il bellissimo “Giovanissimi”, finito nella dozzina del Premio Strega del 2020.
Alessio, ci ritroviamo dopo tre anni a raccontare un nuovo libro, e devo confessarti che sono molto emozionato di partire per questo nuovo ciclo di Tre Domande del Libraio su Satisfiction proprio con te. Un romanzo che ho avuto il privilegio di poter seguire nelle varie fasi di lavorazione. Ci vuoi raccontare il percorso che ha portato a questa edizione definitiva e pure l’idea iniziale di questo romanzo davvero spiazzante per il lettore?
Inizialmente era una filastrocca, poi è diventato una novella, da un certo punto in poi era tanti quaderni sparsi, infine un file. Ho accumulato, tagliato, riscritto. Mi ci sono appassionato.
Volevo che avesse ritmo e prospettive diverse. Una esteriore e l’altra subacquea. E l’una proiezione e riflesso dell’altra. Poi volevo che fosse divertente – temo non lo sia – e volevo una certa efferatezza.
Una profonda riflessione sulle relazioni, sulle esistenze da costruire, sugli amori da capire e il dolore che spesso li sovrasta, sul tema della perdita e sulla immane fatica di andare avanti. A partire da queste tematiche, vogliamo addentrarci nel vivo della storia e approfondire i personaggi e i gatti che animano Anni Felini?
I gatti non hanno pensieri, al massimo sensazioni, e dunque agiscono soltanto. Guariscono, si innamorano, fanno in modo che gli accadano cose. Non indietreggiano davanti all’esistenza perché cancellano la loro memoria breve ogni sedici ore. Conservano solo quanto gli serve strettamente a sopravvivere, anche negli affetti, nulla oltre le informazioni necessarie.
Gli umani invece no. Alcuni umani trattengono tutto e c’è chi non confonde il ricordo con la memoria, o almeno tenta di non autoassolversi. I pochi umani di Anni felini non riescono ad agire perché non riescono a smettere di pensare. Ai loro corpi accade poco, al massimo di sedarsi. E c’è un gatto, Giorgino, che piomba nella vita di un uomo, Daniele. Lui è appena tornato da Londra e vive in campagna, nel bel mezzo del nulla. L’ex coinquilino di Daniele, in fuga dalla fidanzata – la ragazza dalla pelle trasparente – e dalla città dove è adesso abita – la città delle chiese abbandonate -, arriva tra i gatti. L’ex coinquilino di Daniele va lì per revisionare il romanzo che ha scritto e semplicemente ne incontra un altro, un altro romanzo sul suo cammino.
L’aspetto formale è la cosa che più mi ha colpito di questo nuovo romanzo. Una scomposizione continua in due parti, due narrazioni che si inseguono e si intrecciano, e dove le vicende e i luoghi degli umani trovano i gatti spettatori dello scorrere degli avvenimenti in quello che è il filone principale. Una evidente voglia di giocare di più con le strutture e uno stile inconsueto: un’alternanza di piani temporali, perfettamente intersecati. Chiacchierando tra noi hai usato, tempo fa, una espressione che mi ha molto suggestionato, “volevo farmi degli sgambetti”. Vogliamo soffermarci sull’importanza di questo aspetto stilistico e di linguaggio che rende l’architettura formale funzionale al racconto?
Volevo mettermi in difficoltà: allontanare il risultato finale, non terminare subito il libro, scegliere tra le strade possibili quella che meno conoscevo. Sì, le due storie – e forse sono anche tre – si riflettono l’una nell’altra, e l’una è il “procedimento” dell’altra. È un romanzo che contiene anche la sua lavorazione, il making of, però in bella copia. Ha un’evidente componente diaristica ma in buona parte è scritto in terza persona. È realistico ed è fiaba.
Altro sgambetto è il mio desiderio di voler parlare di quanto ci sta accadendo esattamente ora.
Per esempio la distruzione di Napoli al punto tale che per me, oggi, non ha alcun senso chiamarla ancora Napoli – infatti in Anni felini non avviene, non la chiamo più così, ma la città delle chiese abbandonate. Oppure dell’umanità che va estinguendosi. Noi ci stiamo estinguendo, sempre più persone dispongono di minori capacità cognitive e poi il pianeta ad un certo punto ci schiaccerà come una fastidiosa zanzara. Avverrà presto.
Ecco, in Anni felini volevo rinchiudere quelle cose che spaventano tutti i viventi rimasti. E volevo ritmo, molto ritmo.
Buona Lettura di “Anni Felini” di Alessio Forgione
Antonello Saiz