“Io non voglio essere libero
io voglio essere con te.”
Poesia. La prima parola che viene in mente leggendo l’ultima opera della pluripremiata autrice canadese Anne Carson dal titolo Autobiografia del Rosso da oggi nelle librerie per La nave di Teseo con la traduzione di Sergio Claudio Perroni. Poesia e un tuffo nel passato da cui non si vorrebbe mai riemergere. Un passato che tra le pagine diviene presente carico di nuove inaspettate suggestioni. È la storia di Gerione che pertiene alla mitologia greca e di cui sono giunti a noi una ottantina di frammenti di papiro e mezza dozzina di citazioni grazie al poeta greco Stesicoro. Si racconta nei frammenti – che furono parte di un poema – di uno strano mostro rosso, alato, che abitava nell’isola di Eriteia (aggettivo che significa luogo rosso), dedito ad accudire la sua mandria di magici buoi, anch’essi rossi, finché l’eroe Eracle giunse dal mare e lo uccise per sottrargli gli armenti. Gerione, nato nel mito, grazie all’autrice di Autobiografia del rosso ritorna a vivere in chiave moderna, tra viaggi in pullman, scoperte di vulcani e incontri poetici. Un romanzo colto e sorprendente nella sua formulazione, per la capacità di coniugare perfettamente registri narrativi apparentemente distanti e per la qualità di emozioni offerte che scuotono come un terremoto la mente del lettore. Gerione, con la pelle color vermiglio e un paio di ingombranti ali legate dietro la schiena, in veste di bambino prima e adolescente impacciato poi, in Autobiografia del Rosso si misura con il mondo che lo circonda e lo vede estraneo, mettendosi in rapporto costante con gli altri perché “misurandosi con un altro essere umano si mettono a fuoco le proprie procedure”; si rapporterà in particolare con Eracle, suo coetaneo di poco più grande, che lo guiderà verso l’età adulta. Gerione passerà così per le difficoltà dei cambiamenti, il desiderio dell’anima, la gelosia e tutte le tappe che conducono all’amore. Anne Carson con quest’opera coraggiosa e sapiente che è canto lirico e narrazione insieme, ha il merito di trasportare il lettore lontano come una musica che rapisce e incanta, sulle note di un passato riscritto che si fa presente intriso di rara bellezza.
Silvia Castellani
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Di seguito un estratto da Autobiografia del Rosso.
XXIII. Acqua
Acqua! Da due accovacciate masse del mondo sgorgò la parola.
Gli stava piovendo sul viso. Per un attimo dimenticò di avere il cuore a pezzi
poi se lo ricordò. Brutto tonfo
giù verso il Gerione intrappolato nella sua stessa mela marcia.
Ogni mattina uno shock tornare all’anima lacera.
Trascinandosi sul bordo del letto guardò l’ampiezza tediosa della pioggia.
Secchi d’acqua scagliati da cielo
a tetto a grondaia a davanzale. La guardava finirgli sui piedi e raccogliersi a pozza sul pavimento.
Sentiva scampoli di voce umana
grondare lungo le tubature – Mi piace essere gentile.
Chiuse di colpo la finestra.
Dabbasso nel soggiorno tutto era immobile. Tende chiuse, sedie assopite.
Enormi batuffoli di silenzio farcivano l’aria.
Stava guardandosi attorno in cerca del cane poi si rese conto che da anni non avevano un cane.
L’orologio in cucina segnava le sei meno un quarto.
Rimase a guardarlo, imponendosi di non battere le ciglia finché la lancetta lunga non fosse balzata
al minuto successivo. Passarono anni
mentre i suoi occhi facevano acqua e mille idee gli sfrecciavano in testa – Se il mondo
finisse adesso sarei libero e
Se il mondo finisse adesso mai nessuno vedrebbe la mia autobiografia – finalmente la lancetta si mosse.
Ebbe una fugace visione della casa di Eracle dormiente
e la accantonò. Prese il barattolo del caffè, aprì il rubinetto e cominciò a piangere.
Fuori frattanto il mondo naturale si godeva
un momento di forza scatenata. Il vento spazzava il suolo come un mare e percuoteva gli angoli degli edifici,
bidoni della spazzatura sfrecciavano nei vicoli appresso alle loro anime.
Gigantesche parentesi di pioggia si aprivano
al passare di un fulmine e si richiudevano di schianto facendo sobbalzare come un indemoniato
l’orologio in cucina. Da qualche parte sbatté una porta.
Foglie strappate filavano davanti alla finestra. Debole come un moscerino Gerione
si raggomitolò contro il lavello con un pugno in bocca
e le ali incastrate sotto il ripiano per le stoviglie. La pioggia che colava sulla finestra della cucina
gli spedì in giro per la testa
un’altra frase di Eracle. Le fotografie non sono altro che un pugno di luce
contro una pellicola. Gerione si asciugò il viso
con le ali e andò nel soggiorno a cercare la macchina fotografica.
Quando uscì in veranda
la pioggia scrosciava dal tetto in un mattino scuro come notte.
Aveva avvolto la macchina fotografica
in una felpa. La foto è intitolata Se dorme sarà salvo.
Mostra un moscerino in un secchio d’acqua –
annegato ma con uno strano fervore di luce intorno alle ali.
Posa di quindici minuti.
Al primo aprirsi dell’otturatore il moscerino gli era parso ancora vivo.
© 2020 La nave di Teseo
15 Ottobre 2020