Guerra e guerra è, prima di tutto, la storia dell’archivista György Korin, che conduce una tranquilla vita in un paesino ungherese, fin quando a sconvolgerne l’esistenza non arriva un manoscritto di incalcolabile valore e di straordinaria bellezza. L’espediente del testo nel testo sta al centro del romanzo, inedito in Italia, di László Krasznahorkai, che esce oggi da Bompiani con la traduzione di Dóra Várnai, e riporta al racconto delle avventure di quattro soldati che, in momenti storici differenti, si trovano a vivere il momento e il ritorno a casa dopo una guerra devastante. Il contenuto del manoscritto, che “sembrava voler parlare del giardino dell’Eden”, genera in György Korin un’ossessione, che lo spinge a lasciare l’Ungheria portando con sé lo scritto fino a New York, iniziando una nuova vita e avvicinandosi a una nuova lingua. La sua intenzione è quella di trascrivere per intero il testo, e di pubblicarlo in Rete, in modo da renderlo “immortale”. Si tratta in pratica di una missione, il cui percorso è scandito da incontri, di volta in volta bizzarri ed anche traumatici. Il piano narrativo principale si interseca con gli altri piani, che sbordano dal testo del manoscritto, spostandosi a Venezia, a Colonia, a Creta, intersecandosi a loro volta con la “realtà” che sta fuori dal libri, fino all’ultimo capitolo, in cui Korin, nel suo testamento, chiede che venga apposta una targa commemorativa accanto a una scultura di Mario Merz, in un museo svizzero.
Paolo Melissi
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Stava in piedi al centro dell’archivio, o per essere più precisi era avanzato dagli scaffali posteriori fino alla più forte luce centrale, non c’era nessun altro in giro, tutti i colleghi erano già andati a casa, poiché erano ormai le quattro passate, o forse le quattro e un quarto, o addirittura le quattro e mezza, avanzò dunque verso il centro con in mano il fascicolo archiviato tra i documenti familiari, per l’esattezza tra i documenti della famiglia Wlassich, e si fermò sotto il grande lampadario per estrarre il contenuto del fascicolo, lo appoggiò sul tavolo, lo aprì, lo sfogliò, spulciò tutto il materiale appena rinvenuto con l’intenzione, dato che dopo tutti quei decenni era casualmente capitato tra le sue mani, di mettervi ordine, se necessario, quando tutto a un tratto, in mezzo ai diari e alle lettere, ai resoconti finanziari e alle copie dei testamenti, tra gli atti e i documenti, arrivò a una cartella sulla quale era riportato il codice IV.3/1941-42, il che però non andava bene, lo vide immediatamente, non corrispondeva alla dicitura “documenti familiari”, perché non era né un diario, né una lettera, né un resoconto finanziario, né la copia di un testamento, né un documento o un altro atto familiare, ma qualcosa di diverso, lo vide davvero subito, appena prese i fogli tra le mani, lo capì fin dal primo istante, sebbene all’inizio avesse osservato il tutto solo superficialmente, girando le pagine avanti e indietro alla ricerca di qualche data, nome o istituzione, girava e rigirava le pagine al fine di risolvere l’enigma e poter provvedere a un’adeguata proposta di registrazione correttiva per poi preparare il fascicolo all’ulteriore elaborazione, cercava insomma qualche numero, qualche nome, qualche cosa che aiutasse a identificare quel materiale, ma non trovò niente, quel manoscritto, composto all’incirca, a occhio, da centocinquanta o centottanta pagine dattiloscritte non numerate, non conteneva nulla all’infuori di se stesso, né un indirizzo, né una data, né una qualche annotazione alla fine del testo che aiutasse a capire chi potesse averlo scritto, e dove, non c’era niente, aggrottò la fronte Korin in archivio presso il tavolo grande, ma insomma, si chiese, cos’era questa storia, e iniziò a studiare la tipologia e la qualità della carta, la tipologia e la qualità dello scritto, nonché la tipologia e la qualità dell’impaginazione, ma quella cosa lì che aveva appena trovato non corrispondeva per niente agli altri documenti presenti nel fascicolo, che al contrario mostravano certe somiglianze, e di conseguenza certe apparenti correlazioni tra loro, questo manoscritto invece era visibilmente diverso e quindi non connesso agli altri, per cui decise di cambiare metodo, iniziò cioè a leggere lentamente il testo, prese tutto il manoscritto e iniziò a leggerlo dalla prima pagina.
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Uno dei primi lettori dell’edizione tedesca del romanzo Guerra e guerra, com’è ovvio, essendo lui un personaggio chiave del finale del libro, e quindi della vita del protagonista, fu Mario Merz, il famoso artista dell’Arte Povera. In ragione del suo legame con Sciaffusa, dopo aver letto il libro, e in particolare l’ottavo capitolo, quello che lo riguardava, Merz rimase molto scosso, tanto da precipitarsi sul luogo dove si svolgono le ultime scene del romanzo, ossia al museo di arte contemporanea Hallen für Neue Kunst di Sciaffusa, dove tra varie opere era esposto un suo Igloo, sfondare la porta dell’ufficio del direttore, il signor Urs Raussmüller, e, fermo sulla soglia a gambe divaricate, urlare al direttore sbigottito. “Perché non l’avete fatto entrare?!” Il direttore lo fissava attonito, senza riuscire a capire. “Caro Mario, ciao! Ma che c’è?! Cos’è successo?” “Voglio sapere perché non l’avete fatto entrare?!” Il direttore si alzò quindi dalla sua sedia e spalancò le braccia. “Ma chi?! Dove?!” Merz, con lo sguardo di un toro inferocito, urlò un’altra volta. “Te lo chiedo di nuovo: perché non l’avete fatto entrare?!” Urs Raussmüller, del tutto frastornato, si avvicinò all’artista. “Mio caro Mario, ma di cosa stai parlando? Chi non abbiamo fatto entrare e dove?!” “È il mio igloo! Non te lo dimenticare! L’ho fatto esporre qui, ma è il mio igloo! E voi avete scacciato via quel povero diavolo!!! Che voleva solo entrare nell’igloo per pochi minuti! Nel mio igloo! Era il suo ultimo desiderio!!! La responsabilità è tua!!! Tu sei il direttore!!!” Il direttore non ci stava capendo proprio nulla. “Il direttore sono io, è vero. Ma non so di che cosa tu stia parlando. Per favore, calmati.” Mario Merz non si calmò affatto, anzi si innervosì ulteriormente, e senza muoversi d’un passo continuò a urlare. “Tu non sai nulla, eppure sei il direttore! Non sai che aveva chiesto solo pochi minuti a quell’imbecille del tuo guardiano notturno, che però l’ha mandato via! Solo cinque minuti! Nel tuo museo! Nel mio igloo! Il suo ultimo desiderio!”
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László Krasznahorkai è nato a Gyula, in Ungheria, nel 1954. Ha vinto numerosi premi internazionali e le sue opere sono state pubblicate in molti paesi. È considerato dalla critica il più importante scrittore ungherese vivente, è autore di sette romanzi e cinque raccolte di racconti. Nel 2015 ha vinto l’International Man Booker Prize. Bompiani ha pubblicato nel 2016 Satantango, finalista al Premio Gregor Von Rezzori e al Premio Strega Europeo 2017, Melancolia della resistenza e Il Ritorno del Barone Wenckheim, vincitore del National Book Award for Translated Literature nel 2019.
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28/10/2020