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Anteprima. Valentina Durante. Enne

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Valentina Durante ha esordito nel 2019 con il romanzo La proibizione. Ha successivamente pubblicato racconti su diverse riviste e portali. Enne, in uscita oggi per Voland, di cui Satisfiction presenta un estratto in anteprima, è il suo secondo romanzo. Valentina Durante ci racconta una sospensione, un vuoto che si esprime una lettera alla volta. Enne è il filo conduttore, il destinatario, la voce altra cui raccontare la vita spoglia. Ex manager, dopo la perdita improvvisa della compagna, il protagonista si ritrova ad affrontare il dramma più grande: la perdita di senso. È un racconto hauntologico – per come lo intendeva Fisher – più che epistolare, poiché Enne è un pretesto per inseguire uno spettro e, forse, ogni nostro interlocutore per iscritto altro non è che un riverbero di noi. Valentina Durante indaga, per tanti versi, lo stesso tracciato battuto da Veronesi in Caos Calmo, e questo è il sentiero di chi si chiama fuori, di chi si rilega uno spazio silenzioso limitandosi a osservare la vita degli altri da un’angolazione singolare. L’interlocutore di Enne fa le code per commissione. Alle poste, al Cup. Svolge mansioni umili per piccoli compensi. In questo modo si approssima alla vita degli altri con la passività delle onde. Invade e si ritira, con intermittente interesse. Si consola. E poi c’è una scatola. Ogni martedì, una cliente gli chiede di spedire una scatola sempre diversa, sempre allo stesso indirizzo. Vinto dalla curiosità la apre e scopre oggetti che sono dei collegamenti. Come un medium che ha la necessità di toccare oggetti appartenuti a chi si cerca, il nostro protagonista trova un contatto. Questo il paradosso dell’uomo che non si muove, che annulla il tempo, limita lo spazio generando parallasse, come la freccia di Zenone che del viaggio ha la sola sensazione.

Pierangelo Consoli 

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Di seguito l’estratto da Enne di Valentina Durante.

La cucina del mio appartamento ha un lavello a una sola vasca, e non è il massimo della comodità. Ma io non ho che poche cose: la tazza e il pentolino del latte usati a colazione; la pentola e il piatto fondo per la pasta del pranzo; la padella che uso indifferentemente per la carne, il pesce e le uova, e il piatto piano della cena; in più le posate e un solo bicchiere che mi faccio bastare per tutto il giorno, tanto più che ho smesso di bere alcolici. Inizio sempre allo stesso modo, appoggiando sul ripiano accanto alla vasca i piatti, le posate e le pentole da lavare. Riempio la vasca di acqua saponata, ci spruzzo del detersivo, agito con la mano finché non compare la schiuma e immergo il piatto piano e il piatto fondo. Li lavo con la spugna e li appoggio sul ripiano, uno accanto all’altro. Immergo nell’acqua saponata padella e tegame, li lavo e li appoggio sul ripiano: prima la padella sopra il piatto piano, poi il tegame sopra il piatto fondo. Immergo nell’acqua saponata la pentola e il pentolino per il sugo, li lavo e li appoggio sul ripiano: prima la pentola sopra la padella, poi il pentolino sopra il tegame. Immergo nell’acqua saponata la tazza, il pentolino del latte, le posate e il bicchiere; lavo ogni cosa e appoggio tutto sul ripiano: il pentolino sulla pentola, la tazza sul pentolino in acciaio, il bicchiere sulla tazza, le posate di traverso sul pentolino per il sugo. Per ultimo lavo lo scolapasta, che appoggio rovesciato sopra la torre di piatto piano, padella, pentola e pentolino in acciaio. Nel dedicarmi al risciacquo procedo in ordine inverso, partendo dallo scolapasta per concludere con il piatto piano. Sappi, Enne, che è la miglior sequenza possibile per lavare questo esatto numero di stoviglie, con una velocità che non sacrifichi nulla all’accuratezza e con un dispendio di acqua minimo. È un ordine che ho messo a punto dopo molti tentativi e varianti, e che ogni sera rispetto rigorosamente. E pensare che ero convinto che senza una lavastoviglie non avrei potuto sopravvivere! Piuttosto, mi dicevo (questo nella mia vita di prima), avrei preferito mangiare in piatti di plastica. Ancora non conoscevo il senso di soddisfazione, di potenza persino, che può dare un lavaggio eseguito secondo uno schema ponderato. La lavastoviglie è più comoda e rapida ma, credimi, solo in apparenza. Con la lavastoviglie, in realtà, non c’è garanzia che i residui di cibo vengano asportati, perché l’unica vera certezza la si raggiunge toccando con mano. San Tommaso in linea di massima aveva ragione, e non tutti i giorni capita di poter tastare un Cristo risorto. Nel dubbio, sfrego il vetro, la ceramica e la plastica con il lato ruvido della spugna finché non sento sotto i polpastrelli il liscio perfetto della superficie, la prova che ogni sporcizia è stata rimossa. Senza contare che la lavastoviglie lascia sempre qualche deposito di detergente (i getti d’acqua non ce la fanno a rimuoverli del tutto, per quanto ben progettati) e che per essere proprio sicuri occorrerebbe risciacquare ogni cosa a mano, una volta che il rombante ciclo meccanico si conclude. Nel mio appartamento di Villa Zuccareda Binetti non possiedo una lavastoviglie, perché non ho mai ritenuto di doverne possedere una. Non mi sono mai sentito di accordarle fiducia. Non posso accordare fiducia, Enne, a ciò di cui non posso avere il totale controllo. D’altro canto, vivere nella completa sfiducia è impossibile, dunque devo concedermi la possibilità di credere almeno in me stesso. Se con gli altri mi sento legittimato a mettere in campo il miglior (o peggior) scetticismo, nel caso mio accetto di abbandonare ogni riserva: al di qua c’è la pulizia e il rigore della mia mente; al di là la scandalosa confusione del mondo.

© 2020 Voland

29/10/2020

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