Oggi si tende a pensare all’Occidente non tanto come a un luogo, quanto piuttosto a un insieme di culture differenti ma connesse, a una serie di modi di pensare e valori comuni, di eventi storici condivisi, seppur diversi. Con “Occidente” Condorcet intendeva un gruppo di popoli: gli europei e quelli di origine europea che, a seguito della imponente espansione degli imperi, si erano stanziati in ogni angolo del pianeta, dall’Atlantico al Pacifico. Una delle caratteristiche più significative della civiltà di questi popoli è lo stato-nazione, ovvero uno stato che riuniva in un unico territorio, sotto un unico ordinamento giuridico e un unico sovrano piccole comunità che in precedenza erano disperse e quasi a stento riconoscevano l’esistenza delle altre.
Dal Nuovo Mondo al Sudafrica, dalla Germania a Israele, fino al Sudan, gli stati coloniali e gli stati-nazione si sono costituiti sulla politicizzazione di una maggioranza religiosa o etnica e a spese delle minoranze. Lo stato moderno è spesso associato alla tolleranza. Esso è tanto un prodotto quanto un garante della tolleranza, tra gli stati e al loro interno. Questo regime di tolleranza ha consolidato la struttura dello stato-nazione, definendo il rapporto tra maggioranza nazionale e minoranza. Abbracciare la modernità ha significato abbracciare la condizione epistemica che gli europei hanno creato per definire una nazione come civilizzata e, quindi, giustificare l’espansione della nazione a spese degli “incivili”. La sostanza di questa condizione epistemica risiede nelle soggettivazioni politiche che essa impone.1
Era opinione ampiamente condivisa che questa fosse la sola forma politica in cui si potesse applicare lo stato di diritto senza difficoltà, l’unica che avrebbe generato prosperità economica e coerenza politica e sociale. Fin dalla sua nascita, ogni stato-nazione ha dovuto fare i conti con l’esistenza di altri stati della stessa natura. Pagden sottolinea quanto, i primi profeti del nazionalismo – Johann Gottfried Herder e Giuseppe Mazzini – credevano che tale convivenza potesse essere pacifica, che tutti gli stati del mondo si sarebbero relazionati armoniosamente in nome di una fratellanza universale. Ovviamente le cose sono andate diversamente.
La nazione e la sua potente e cieca difesa, negli ultimi due secoli hanno causato in Europa e altrove conflitti più sanguinosi di qualsiasi altro che li ha preceduti.
Nonostante il loro scontro sanguinoso, colonialismo e anticolonialismo condividono una premessa comune: la società deve essere omologata per costituire una nazione. La violenza impiegata nella costruzione di una nazione è un atto criminale, che richiede procedimenti giudiziari e punizioni, oppure è un atto politico, la cui risposta deve essere una nuova politica non nazionalista?2
Pagden sottolinea come in tempi recenti si stia riaffermando con forza l’idea che lo stato-nazione sia l’unica forma politica destinata a durare e la quintessenza della vita sociale e politica moderna nonostante il dato di fatto che la gran parte degli stati odierni sia debole, fallimentare e disfunzionale.
Nello stesso tempo, tuttavia, continua a crescere il potere e il numero delle istituzioni internazionali, e in egual misura aumenta la consapevolezza che, indipendentemente dal luogo in cui viviamo, dal nostro livello di ricchezza o di potere e dallo stato cui apparteniamo, condividiamo tutti lo stesso pianeta.
Oggi il mondo può essere governato tanto dalle reti sovranazionali e internazionali quanto dai governi degli stati-nazione, ma ciò che queste reti tengono unito sono ancora i cittadini degli stati-nazione.
La tendenza alla globalizzazione occidentale convive, invero entro i suoi stessi confini territoriali, con un’altra tendenza: la frammentazione. Più forte o comunque più evidente della prima, che esprime sia processi generali di diversificazione socio-economica e culturale (localismo, regionalismo), sia tensioni e processi di frantumazione e ricomposizione politico-territoriali a livello statuale, inter-statuale o transfrontaliero (federalismo, autonomismo regionale, indipendentismo, secessionismo, nazionalismo e micro-nazionalismo spesso di natura etno-religiosa). Le dinamiche di globalizzazione e di frammentazione rappresentano vere e proprie sfide per lo stato-nazione, inteso come sistema di delimitazione spaziale e di regolazione istituzionale dei processi interni e internazionali di potere, di legittimazione e di appartenenza collettiva.
L’immagine di un “nuovo mondo” uniformato e pacificato in base al primato dei principi economici del libero scambio globale, dei principi del globalismo giuridico e dell’universalismo dei diritti umani, era già stata criticata all’indomani della caduta del Muro di Berlino, del tracollo del comunismo sovietico e del tramonto del sistema internazionale bipolare.
La visione della “civiltà al singolare” è tipica di una certa vocazione all’universalismo propria della civiltà occidentale, con tutti i limiti e i rischi o paradossi etico-politici che essa comporta, specie quando l’opera “civilizzatrice” si imbatte nella resistenza di coloro che si vorrebbe “civilizzare”.3
Il concetto di nazione presuppone un passato, generalmente costituito da conflitti che definiscono entità statuali all’interno di confini definiti. La nazione, ricorda Pagden, a differenza dello stato al quale è connessa, è una creazione dell’immaginazione collettiva dei suoi cittadini: richiede il racconto di una storia “nazionale”, che rappresenti il percorso apparentemente inevitabile verso l’unità. Ciò che ogni nazione possiede e che le ha consentito di persistere nel tempo e alla fine di trionfare su altre nazioni è proprio lo stato, ovvero una particolare concezione del potere. E ciò che ha legato il concetto di stato all’idea di nazione è stato principalmente la nozione di “sovranità”.
Lo stato-nazione, ossia l’applicazione di un potere sovrano a una società civile multiforme, per restare unito, sopravvivere e prosperare necessitava di qualcosa di più, di un’ideologia: il nazionalismo.
Offuscato dal retaggio del fascismo e del nazionalsocialismo, oggi il nazionalismo appare come una forma di tribalismo che sa di xenofobia, ignoranza, fanatismo, faziosità e aperto razzismo. Eppure, secondo l’analisi dell’autore, non è sempre stato populista e autoritario.
Come affermava Jürgen Habermas, la nazione che trova la sua identità non nella comunanza etnica e culturale, sostenuta da simboli, immagini, miti storici ed elementi simili, ma – come la concepiva Mazzini – nell’esercizio attivo del diritto di partecipazione e comunicazione da parte dei cittadini sembra, di fatto, l’esatto opposto di ciò che oggi viene definito “nazionalismo”.
Lo stato-nazione doveva essere un organismo a sé stante, tuttavia per realizzarsi e sostenersi, come sottolineava Hegel, doveva anche contrapporsi a un altro diverso da sé, che aspirava a dominare per conservare il senso di sé.
«Non avete veduto, sin dal principio dell’esistenza della nazione, che lo spavento di essa è stato l’unico fantasma pauroso per cui il mondo intero ha tremato?» (Rabindranath Tagore, 1917).
Nel corso di XX e XXI secolo, l’umanità ha subito un’evoluzione tale che già Raymond Aron nel 1960 definiva mutazione. L’intero libro di Anthony Pagden ruota intorno a essa, nel tentativo di tracciarne il corso e, soprattutto, delineare la direzione che potrebbe prendere in futuro.
Globalizzazione e governance sono termini che hanno mutato la percezione del mondo e orientato l’azione di istituzioni pubbliche e attori privati; parte di quello “shock of the global” che ha segnato i decenni tra gli anni Settanta e la fine del secolo scorso.4 Un trauma prodotto dall’abbattimento dei vincoli nazionali al mercato globale che ha assunto le vesti di una trasformazione politica per la quale gli stati-nazione sono attraversati, condizionati e connessi trasversalmente da attori transnazionali, dalle loro chance di potere, dai loro orientamenti, identità, reti.5 Della globalizzazione, la governance rappresenta il correlato politico esprimendo l’aspirazione a un governo senza Governo del mondo. La globalizzazione è stata a lungo discussa a partire dalla convinzione che essa comporti innanzitutto un ridimensionamento degli stati sotto la spinta degli attori globali, dei mercati economico-finanziari, dei nuovi spazi macro-regionali. Il nesso stretto tra democrazia e sovranità rivela due presupposti che segnano il dibattito sulla globalizzazione e la democrazia: il primo è che gli stati liberal-democratici non possono che essere stati sovrani; il secondo, è che solo in quanto sovrani essi possono effettivamente essere democratici. La sovranità democratico-liberale deve essere popolare perché deve esprimere l’unità, l’autonomia e l’autogoverno rappresentativo di una comunità politica.6 Nella globalizzazione, alla fin fine, lo stato si ristruttura oltre gli orizzonti della territorialità e della sovranità, entrando in rapporto con nuovi attori, nuove modalità di produrre poteri e con geografie inedite.7
Pagden si chiede quali caratteristiche avrebbe una “società civile globale” fatta di nazioni. E anch’egli giunge alla conclusione che internazionalizzazione e globalizzazione solo in apparenza sembrano smantellare lo stato-nazione. Questo è una costruzione politica, un curpus giuridico, uno spazio geografico e immaginario in cui individui vivono e interagiscono; fornisce inoltre una misura di sicurezza, di identità e ci permette di formulare qualche ipotesi sul futuro. Lo stato mostra un modo di vivere, come in precedenza avevano fatto, su scala più ridotta, il villaggio, la parrocchia, la tribù.
Irma Loredana Galgano
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Anthony Pagden, Oltre gli stati. Poteri, popoli e ordine globale, Il Mulino, Bologna, 2023.
Traduzione di Giovanni Mancini.
1M. Mamdani, Né coloni né nativi. Lo stato-nazione e le sue minoranze permanenti, Meltemi, Milano, 2023.
2M. Mamdani, op.cit.
3G. Nevola, Il modello identitario dello stato-nazione. Genesi, natura e persistenza, Quaderni di Sociologia, 44 – 2007.
4N. Ferguson, C.S. Majer, D.J. Sargent, Shock of the Global. The 1970s in Perspective, Belknap Press, Boston, 2010.
5U. Beck, Che cos’è la globalizzazione, Carocci, Roma, 1999.
6A. Arienzo, Lo Stato nella globalizzazione e la governance economica della politica, Scienza & Politica, vol. XXIX, n° 57, 2017.
7C. Galli, Spazi politici. L’età moderna e l’età globale, Il Mulino, Bologna, 2001.