Non mi piacciono le definizioni, sono utili, certo, ma le ho sempre trovate imparziali, circoscritte, noiose. Quando il dizionario non presenta nessuna parola specifica allora probabilmente ci troviamo davanti a qualcosa di nuovo. È quello che succede con “Per essere chiari” di Antiniska Pozzi (Milieu edizioni). A prima vista sembrerebbero delle storie vere su dei carcerati di San Vittore, poi dei brevi racconti su alcuni di loro che fanno pugilato, poi leggendo meglio si intravvede un filo conduttore, quello di Mirko Chiari il loro allenatore, il loro mentore, il loro punto di riferimento.
Alcuni hanno questa dote, di farti diventare chi sei davvero, di regalarti dei pezzi che ti mancano.
Mirko Chiari è chiamato il “pugile poeta” sia perché legge alcune poesie prima degli incontri e sia per alcuni versi tatuati su gran parte del corpo. Dal 2016 lavora come volontario al carcere di Bollate e di San Vittore nel progetto “Pugni Chiusi” insegnando la boxe. All’interno del libro c’è anche la sua di storia così scopriamo che è stato in carcere a 19 anni, un paio di giorni a San Vittore, per un motorino rubato. Quella notte è stata fondamentale per lui, soprattutto per l’incontro con Pino, uno dei suoi compagni di cella che gli aperto gli occhi su quel mondo e su cosa si può scegliere.
Tutti abbiamo un tempo, e se siamo abbastanza fortunati possiamo scegliere cosa farne. La scelta non è sempre serena, perché dobbiamo ahimè condividerla con la bestia che ci abita. Quello che puoi fare è capire come tenere a bada la tua, e se c’è un altro modo per nutrirla rispetto a quello che hai usato fino a oggi, un modo che non ti porti al gabbio.
“Per essere chiari” è un libro prezioso non soltanto per la storia ma soprattutto per lo stile e per lo sguardo di Antiniska Pozzi capace di osservare e mostraci le ombre di alcuni carcerati parla veloce, dice molte cose per nasconderne altrettante le storie parallele avesse avuto due vite a disposizione, invece che una sola, sarebbe stato un ladro e un attore: dovendo scegliere, è stato ladro. Ma anche in quello si può mettere dell’arte, ed è esattamente ciò che ha fatto e raccontando la boxe con definizioni che sarebbero apprezzate anche da scrittori che amano i guantoni quali Joyce Carol Oates e Antonio Monda La boxe è pura follia, perché l’individuo normale ha l’istinto dell’autoconservazione, invece i pugili lo devono inibire per mettere in scena una storia che è del tutto imprevedibile e La poesia è come la boxe, ti giochi tutto in un istante, e ci vuole fiato. Ci vuole saper incassare, e i poeti sanno farlo alla grande.
Su Minima&Moralia Antiniska Pozzi ha raccontato che seguendo i fili biografici dei detenuti si è resa conto di quanto siano ingarbugliati e spesso imperfetti, come imperfetta è necessariamente la memoria, e ha capito che poteva lasciar correre il racconto dentro un tempo fluido. “Non c’è mai pretesa di completezza, dentro questa narrazione, perché non c’è completezza dentro nessuna delle vite qui raccontate. Non è mai stato un reportage, è stato altro da subito, l’immaginazione aveva lavorato a colmare certi spazi prima ancora che potessero riempirsi in altro modo. Per questo uso l’aggettivo “ibrido” per definire questo racconto: il reale – un reale già mediato dalla narrazione di altri e di sé – si è contaminato con una ricerca di risposte che era solo mia, e che si era intersecata con quella di Mirko.”
Quando in letteratura ci troviamo davanti qualcosa che non ha una specifica collocazione allora bisogna stare attenti, potremmo trovarci davanti a qualcosa davvero di unico, intenso e originale come il libro “Per essere chiari” di Antiniska Pozzi.