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Antonella Lattanzi. Cose che non si raccontano

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Le cose che non si raccontano sono le cose che andrebbero lasciate relegate in un angolo della nostra mente, in un piccolo spazio della nostra pancia, quello spazio in cui si annidano cose così scomode da non poter essere raccontate. Le cose che non si raccontano sono fatte di dolore, di sofferenza e vergogna. Sono fatte di pezzi di anima maciullata da un destino accanito e spietato che non ci ha risparmiato neanche per un secondo. Le cose che non si dicono sono fatte di sensi di colpa, di inadeguatezza e rimpianti; a volte di convinzioni assurde che ci distruggono perché davanti ad alcuni dolori è meglio annientarsi piuttosto che sopravvivere. Antonella Lattanzi, l’autrice di questa autobiografia, è sopravvissuta e ha deciso di donarci, con una generosità coraggiosa e salvifica, la sua storia straziante. Sono una donna e una madre, ho affrontato una gravidanza, ho partorito e ho stretto tra le braccia mio figlio che mi ha cambiato l’esistenza: non pensavo che sarei riuscita a finire questo romanzo. E mentre lo leggevo mi stupivo di come questa donna fosse riuscita a tirare fuori l’intera sua anima e raccontare la sua storia senza nascondere neanche un lembo di cuore.

Cose che non si raccontano” (Einaudi, 2024, 216 pagine, 18,05 euro) è un viaggio che una madre fatica a fare, ma pagina dopo pagina continui nella lettura, pensando che questa storia hai il dovere di ascoltarla, proprio come si deve ascoltare la verità. Perché la Lattanzi ci regala la verità, tutta la verità su cosa le è successo. Una verità celata per molto tempo ai suoi affetti più cari ma che decide di condividere attraverso ciò che l’ha tenuta e trattenuta in vita: la scrittura. Condivide tutto, anche il nome dei medicinali, tanti, che assumeva per raggiungere un desiderio grande come quello di diventare madre; condivide la sua relazione sentimentale, il mondo intimo di una donna che mette in campo anima e soprattutto corpo, quando si intraprendono certi percorsi. Si mostra in una maniera così autentica da darci la sensazione di conoscerla. Di certo avrei voluto conoscerla per starle vicino e dirle che quei medici avrebbe proprio dovuto mandarli a fanculo, come le dicevano le sue amiche. E invece no, lei che dentro era attraversata da mille emozioni, sconvolta da una realtà inaspettata, terribile, reagiva senza mai perdere la calma; a volte pareva una bambina, piccola e indifesa, una bambina che si muoveva silenziosa per non dare troppo disturbo. E nonostante il silenzio apparente dell’attesa, nulla è silenzioso in questa storia. Tutto urla. Un urlo sommesso e composto, fatto di speranza. Leggendo con il cuore in gola ho fatto il tifo per Antonella, Andrea e le sue tre bambine. Mi sono augurata che la felicità potesse esploderle tra le mani e darle quello che la sua tenacia meritava. 

Questo è un romanzo che scava a fondo, lì dove la sofferenza si annida e ti cambia; è un romanzo che ti lascia senza la forza di reagire, perché davanti a certe tragedie è giusto fermarsi, stare in quel dolore, senza avere la fretta e la pretesa di passare oltre, ma semplicemente stare, come meglio si riesce. Pensando al futuro, aggrappandosi a ciò che si ama, o attendendo che quel dolore non ci distrugga completamente. L’autrice trova salvezza nella scrittura e si aggrappa al suo libro perché sa che se lasciasse andare anche quello allora non riuscirebbe a risalire dall’abisso. È un romanzo che non ti da scelta: non è possibile non farsi travolgere da questa storia; non è possibile non farsi sporcare dalla rabbia di ciò che è accaduto. L’autrice non si risparmia e non ci risparmia niente. Non ha paura di mostrare tutte le sue emozioni, anche se oscure; non deve nascondere l’odio che ad un certo punto l’assale, o i pensieri che affollano la sua mente offuscata dalla disperazione. Non deve e non vuole nascondere quella parte vulnerabile di sé che rende queste pagine così reali da farci entrare in quelle stanze di ospedale per tenerle la mano e dirle che andrà tutto bene. E non importa se ciò che è accaduto non ci riguarda, perché le emozioni che l’autrice riesce a far trasparire da ogni parola, da ogni silenzio, sono così potenti da arrivare in quell’angolo di pancia in cui ognuno tiene le proprie cose che non si raccontano. È così che questa storia diventa universale, perché narra  di vita e di morte; di speranza e disperazione; di amore e senso di colpa. Poli che non troveranno un equilibrio ma che continueranno a scuotere l’animo di chi, come me, avrebbe voluto fare qualcosa ma impotente ha potuto solo  sentire la forza della vita che nell’andare via continuava a pulsare, nonostante tutto. Ho ammirato questa donna, questa madre, per la sua forza. Una forza di una guerriera gentile. Che ha sofferto con compostezza e riservatezza. Che ha perseguito il suo desiderio fino quasi a perdere tutto, non solo la vita, che non si è arresa e che ha trovato un modo per ripartire da se stessa. 

Nancy Citro

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Antonella Lattanzi, Cose che non si raccontano, Einaudi, 216 pagine, 18,05 euro.

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