Sabato 11 Gennaio la stagione degli eventi in libreria è partita con la presentazione di uno di quei libri che resta nel cuore, un romanzo molto particolare, edito da Minimum Fax, dal titolo “Vita, morte e miracoli di Bonfiglio Liborio” scritto da un quasi esordiente, Remo Rapino.
Ci ha messo quasi vent’anni prima di scrivere questo libro, Remo Rapino, classe 1951, lancianese della provincia di Chieti, ex docente di storia e filosofia nei licei, poeta e narratore che aveva pubblicato già, prima di arrivare alla casa editrice indipendente romana, alcune raccolte di poesia e la raccolta di racconti “Esercizi di ribellione” per la mitologica casa editrice Carabba.
Alla città di Lanciano, a onor del vero, mi lega una storia molto personale: da oltre trent’anni frequento questa piccola cittadina dell’Abruzzo, per via del fatto che il mio miglior amico, sin dai tempi dell’università, Roberto Vignola,è pure lui un lancianese. Col tempo, dopo aver conosciuto mia sorella, è diventato anche mio cognato e il padre del mio adorato nipote Leo. Dopo la morte dei miei genitori e del mio compagno, Lanciano è diventato il posto che per me è quasi casa. Un posto del cuore che è respiro, famiglia allargata. Immaginate le mie sensazioni quando Rossella Innocentini della casa editrice Minimum Fax, a inizio estate scorsa, mi invia le bozze di questo libro che sarebbe uscito poi a ottobre. Da subito si concorda che la giornata di inaugurazione di Parma Capitale Italiana della Cultura dovesse essere fatta proprio con questo romanzo. Già solo il Glossario a fine libro, valeva il prezzo di copertina, per uno che con quel dialetto e quei detti aveva molta familiarità, senza escludere che, dopo la lettura, avevo oggettivamente rilevato che fossimo in presenza di uno dei migliori libri pubblicati nel 2019.
Dicevamo di Lanciano, dove il libro è in parte ambientato, anche se non viene mai citata espressamente. Ma accadimenti e luoghi fisici, stradine, il corso, la cattedrale, le feste di settembre della Madonna del Ponte sono riconoscibilissimi in “Vita, morte e miracoli di Bonfiglio Liborio”. Lanciano nella mia memoria è anche la tenace casa editrice Carabba, quella che ha pubblicato i primi racconti di Rapino ma ispirato pure “La Patente” di Pirandello e che agli inizi del secolo scorso rivaleggiava con la già blasonata Laterza. Nel 1907 Pirandello andò a Lanciano nelle vesti di presidente di commissione d’esame al liceo classico e dopo l’incontro con Rocco Carabba,pubblicò, l’anno dopo, in 500 copie, il celebre saggio su “L’Umorismo”. Non molti sanno questa storia che voglio raccontare nella mia cronaca. Subito dopo aver pubblicato il saggio, l’editore volle continuare i rapporti con il geniale scrittore agrigentino facendogli firmare un contratto di edizione che lo legava alla casa editrice per dodici novelle rivolte ai ragazzi e offrendogli un anticipo di 400 lire. A questo punto nacque un diverbio fra i due poiché il futuro premio Nobel siciliano non aveva intenzione di destinare quei suoi scritti ad un pubblico giovane e dall’altra parte Carabba non cedeva la presa. Lo scrittore gliene inviò quattro, che tuttavia non piacquero all’uomo di Lanciano, soprattutto perché qualcuna di queste era già stata pubblicata su riviste e giornali: chiedeva e pretendeva roba inedita. Pirandello tergiversò. Carabba insistette. La disputa proseguì, anche per l’anticipo sulle opere che l’editore era solito versare all’autore e di cui dunque, pretendeva la restituzione non avendo ottenuto quel che desiderava. Il conflitto non si placò ed anzi assunse aspetti da tragicommedia. Lo scrittore, esasperato, in una lettera rivolse a Carabba una ingiuria di questo tipo: “Vedo chiaramente che lei capisce di letteratura quanto può capirne un cerinaio che va vendendo per istrada le sue scatole di fiammiferi- “. I rapporti, dopo la lettera non del tutto ossequiosa, s’imbucarono nella grana giudiziaria e il destinatario di quella frase irriverente si offese a tal punto che trascinò in giudizio l’autore de “Il fu Mattia Pascal”. Lanciano,all’epoca, era ancora sede di Corte D’Assise D’Appello, cosicché l’editore abruzzese citò in giudizio Pirandello,il quale perse la causa e dovette risarcire la controparte con 41 lire,e ,successivamente, vi trasse una delle sue più note opere, “La Patente” appunto. Quest’indiscrezione, così carica di storia, di letteratura si inserisce nello spirito del bellissimo romanzo di Rapino e mostra quel vivace quadro storico-culturale di una Lanciano dei primi del novecento che ben si respira nel libro. Carabba è anche la casa editrice che pubblica in seconda edizione, ma in versione integrale, la raccolta “Primo Vere” del futuro Vate, Gabriele D’Annunzio, mentre nella Collana “Cultura dell’anima”, lo scrittore fiorentino Giovanni Papini, affida un nuovo ed alternativo programma culturale in antitesi con la strutturata “filosofia di regime” incarnata da Benedetto Croce. Lanciano, in quegli anni, diventa grazie a questa casa editrice un insolito palcoscenico letterario e la pensione Corona di Ferro,arriva ad ospitare personaggi del calibro di Salvatore di Giacomo. Dopo la guerra questa gloriosa casa editrice d’Abruzzo perde colpi e, dopo una lunghissima pausa di quasi mezzo secolo, nel 1996 ha ripreso le pubblicazioni, sebbene con meno smalto rispetto agli anni ruggenti, e al netto di collane e titoli stimolanti per un lettore curioso.
Nel libro di Remo Rapino viene anche citato anche un episodio storico ben preciso, quello dei martiri ottobrini di Lanciano, un gruppo di giovani partigiani che affrontarono il 5 e 6 ottobre 1943, a Lanciano, i soldati della Wehrmacht. Nello scontro trovarono la morte 47 tedeschi, tra ufficiali e militari di truppa, e 23 lancianesi, 11 in combattimento e 12 per rappresaglia. Le gesta vennero esaltate pochi giorni dopo non soltanto in Italia, ma anche dalle Radio di Londra e di New York; alla città di Lanciano fu assegnata la medaglia d’oro al valor militare.
Dalla penna felice di Remo Rapino è venuto fuori un personaggio unico, Bonfiglio Liborio, commovente e dai tratti picareschi. Un umanissimo irregolare, interprete della storia del ‘900, Liborio, il cocciamatte. L’ultimo degli ultimi, il più folle dei folli gentili, le cui vicende personali si attorcigliano alla storia politica e sociale del Novecento. Dalla piccola città in cui vive(che ricordiamolo non viene mai nominata ma il riferimento è Lanciano), Liborio si proietta nel panorama della vita nazionale con mille avventure per poi far ritorno,da vecchio, nella casa da dove è partito e ritrovarsi solo e marchiato dai compaesani. Liborio diventa il pazzo che tutti scherniscono e che si aggira strambo e irregolare per le strade del paese. Appartiene ai vinti, Liborio che gira con le pietre in tasca per contrastare il vento, ma non è un vinto, è un Don Chisciotte, piuttosto. In alcuni capitoli ci commuove, in altri ci fa ridere: la ricchezza del libro è tutta dentro la sua voce che alterna comicità, candore, follia e che si traduce in una continua festa lessicale e del ritmo. Bastano poche pagine per restarne ipnotizzati da questo libro intimo e sociologico al tempo stesso. Non è importante capire se Liborio Bonfiglio sia veramente esistito, quel che è necessario vedere è che nella sua voce sgarbugliata viene ripercorsa la vita di un uomo e di un’intera società. Viene passato in rassegna l’intero Novecento con il ritmo travolgente e festoso di una processione paesana con tanto di banda musicale al seguito.
Remo Rapino sostiene che “i matti, i fuori margine, sono quelli che ci fanno vedere gli spazi bianchi e raccontarli è importante”. E lui ci riesce a raccontare quei spazi bianchi in maniera sublime, in questo romanzo. Con una scrittura unica e accattivante, con una straordinaria architettura narrativa, ma soprattutto inventando una lingua, un mix di italiano e dialetto, che va a coincidere con quella del personaggio che racconta la sua nascita, il nonno, la madre, la scuola, l’apprendistato in una barberia, le frustazioni e sofferenze che annebbiano gli ingranaggi, e poi le case chiuse, la guerra e la Resistenza, il lavoro in fabbrica, il sindacato, il manicomio, la solitudine della vecchiaia, i soprusi della vita. A popolare la sua memoria, una galleria di personaggi indimenticabili: il maestro Romeo Cianfarra, donn’Assunta la maitressa, l’amore di gioventù Teresa Giordani, gli amici operai della Ducati, il dottore Alvise Mattolini, Teté e la Sordicchia… Dal 1926, anno in cui viene al mondo, al 2010, anno in cui si appresta a uscire di scena, Liborio celebrerà, in una cronaca esilarante e malinconica di fallimenti e rivincite, il carnevale di questo secolo, i suoi segni neri, ma anche tutta la sua follia e il suo coraggio poetico. Quel coraggio che per tutta una vita lo porta a cercare sempre un paio di occhi neri dentro cui avrebbe tanto voluto specchiarsi.