Nella mia cronaca indipendente di oggi ho scelto di parlare di due libri molto diversi tra loro. Libri diversissimi, come Breve storia del mio silenzio di Giuseppe Lupo, edito da Marsilio, e Io sono la Bestia di Andrea Donaera, edito da NN Editore.
Giuseppe Lupo, nel suo splendido libro, riporta la frase di un altro grande narratore, Fulvio Tomizza: “Il compito di uno scrittore è testimoniare”.
Ecco, entrambi i due libri portano, secondo me, una testimonianza vera, importante e chi ama la bella letteratura, quella alta, non può non notare che esiste un sottile filo rosso che lega questi due libri diversi come il giorno e la notte.
Entrambi testimoniano un uso appropriato della parola scritta. Nell’era dei dialoghi che corrono veloci in rete e dell’immagine e del suono veloci, la parola scritta ha finito per perdere di importanza e consistenza. Tutti scrivono libri, d’altra parte, ma si finisce per scrivere, tanto per scrivere, con un uso della parola fatto con sciatteria, senza cura.
Nelle narrazioni, oggi, ci si preoccupa poco della comprensione delle singole parole. Si scrive senza analizzare, senza chiedere, mentre la parola scritta, se vuoi comunicare per davvero, ti impone di essere rigoroso, serio con te stesso, ti costringe a costruire sequenze logiche, ad argomentare con la bella prosa nitida e fluente.
Cosa che non accade in questo romanzo autobiografico di formazione, ambientato nell’appennino lucano, e in questo racconto esplosivo e di una crudeltà indicibile, ambientato nel Salento estremo. Sulla parola scritta si gioca la consistenza di questi due libri di grande accuratezza stilistica e pubblicati in questo autunno. Lirismo descrittivo e finezza letteraria vanno di pari passo e le parole scritte sembra, davvero, che testimoniano e aiutano a riordinare il mondo. Parole scritte che rivelano una storia. Parole scritte che con la loro “urgenza” sono un tutt’uno con il giornalista e scrittore Lupo o il poeta Donaera.
Breve storia del mio silenzio è una autobiografia lineare, un lungo cammino che parte dalla storia di un ragazzino che a quattro anni perde l’uso della parola, da un giorno all’altro dopo la nascita di sorellina.
Giuseppe Lupo, scrittore, professore, uomo di parole scritte e pronunciate, parte da dove, nella prima infanzia, ha smesso di parlare e, poi, crescendo dalle parole scritte e dalle narrazioni ha tratto la fonte della propria vita, facendo tesoro di quel silenzio per ascoltare, esplorare e, poi, narrare. Storia della nascita di Lupo scrittore e di come un trauma della prima infanzia diventa, alla fine, una vera vocazione.
Dal rifiuto delle parole, prima, e dei libri dopo, si arriva nel finale all’uomo che di parole vive e fa vivere, passando attraverso i racconti della pluriclasse di Marotta, dove era alunno della madre maestra. Ma diventa scrittore anche passando dal bugigattolo della vecchia casa ricolmo di libri del padre, maestro anche lui e letterato, e animatore culturale,in grado di attrarre e ospitare grandi intellettuali del tempo,in questo piccolo paesino lucano che è Atella.
Nel nuovo libro di Giuseppe Lupo, per un fatto anagrafico e di appartenenza geografica, sono tanti, troppi i passaggi che mi hanno emozionato e fatto rivivere anche care presenze che non ci sono più nella mia vita. Libro che mi ha fatto rivivere, prepotentemente, il ricordo di me e della mia famiglia, tutti assieme a vedere i film dalla Fiera del Levante al sabato mattina o, la domenica sera, quel magnifico sceneggiato di Anton Giulio Majano che era L’eredità della Priora con Alida Valli e Ida di Benedetto e Carlo Giuffrè e le canzoni dei Musicanova. Altro ricordo vivido il terremoto del 23 novembre del 1980, che nella vita dello scrittore fa da spartiacque tra il mondo di prima e quello di dopo e segna anche il passaggio dal liceo alla “Milano da bere” degli ’80.
In libreria, Giuseppe Lupo ha affermato che per lui con il terremoto del 1980 finisce ufficialmente il ‘900. Tra ricordi e memoria degli Appennini lucani e il futuro da agguantare in una la metropoli Giuseppe Lupo si mette a nudo e racconta un lessico familiare per tappe, dove riesce alla perfezione a raccontarsi e a raccontare anche piccoli sogni di realizzazione, grazie ad uso sapiente delle parole e a una levigatezza compositiva che rende piacevolissima la lettura.
Sono le parole che salvano e danno respiro anche in una storia nera e crudele che vede il Sud della Puglia. Una Puglia diversa, con un Salento diverso e pericoloso. Una Puglia carica di odio e violenza,fatta di muretti a secco e casolari nascosti in mezzo alla campagna, con il mare a due passi che, però, non si vede. Una Puglia violenta fatta di giuramenti sulla punta di pugnale, bagnati di sangue.
Il giuramento con cui ci si unisce alla Sacra corona unita non potrebbe essere più chiaro: affiliarsi significa legarsi con il sangue a un’associazione di cui si farà parte per la vita, e oltre la vita. Un destino eterno a cui nessuno può dare le spalle. Sulla soglia di Io Sono La Bestia, il romanzo d’esordio di Andrea Donaera, ci attende quel giuramento, recitato durante il patto di sangue che suggella l’affiliazione. Si entra in questo modo nel crudele mondo di violenza, vendetta e amore di Mimì, boss della Sacra corona unita. Suo figlio Michele Trevi, detto Michele Maradona, quindici anni, si è appena suicidato. Suo padre è folle di rabbia davanti alla bara del figlio. Il dolore lo dilania e lui,un boss della Sacra Corona Unita, vuole a tutti i costi farla pagare a Nicole, la ragazza di cui Michele era innamorato e che lo ha rifiutato, scoppiando a ridergli in faccia quando lui le ha donato un quadernetto di poesie (genialata della casa editrice : il quadernetto di poesie si potrà scaricare grazie ad un codice inserito nel libro). Nicole è una ragazza, non ancora una donna, non più una bambina e viene sequestrata dalla Sacra Corona Unita e portata in un luogo nascosto dal mondo, sperduto nelle campagne salentine. Con lei, a farle da carceriere, c’è Emanuele, detto Veli, un uomo che non sa usare bene le parole, ma sa guardare il mondo, con gli occhi buoni. Anche l’uomo, in realtà, è costretto a restare recluso in quel luogo e legge libri e quasi si innamora di lei, rivedendo in Nicole la sua Arianna, la figlia dello stesso Mimì.
Tra i due si accende qualcosa che è più di un legame: è un’iniziazione alla leggerezza e all’unicità della vita, tra gli orrori della loro condizione. “Io sono la bestia” non è soltanto un attacco alla violenza e alla criminalità che progetta la morte come un affare di ordinaria importanza: è un elogio all’amore e alla vita, che possono e devono essere un’arma, forse sempre la più letale. Una storia di amore e morte crudelissima dove solo le parole a dare fuoco alle polveri; una storia di amore e morte dove la parola scritta, sapientemente ricercata, riesce a dare respiri, e respiri allargati, alla lettura.
Due libri, che da qui a Natale, saranno tra i consigli di lettura più partecipati di questo povero libraio indipendente.
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