«Le cose sono quasi sempre semplici, pensa Leonardo Sciascia, mentre quel 10 giugno 1981 un futuro presidente del Consiglio e della Commissione europea sta raccontando, a lui e ad altri onorevoli deputati, di una seduta spiritica alla quale ha partecipato insieme a un gruppo di amici democristiani a pochi giorni dal rapimento Moro.»
Antonio Iovane, La seduta spiritica, minimum fax 2021
In una domenica da Zona Rossa abbiamo presentato, sulla pagina Facebook della casa editrice Minimum fax, La seduta spiritica, di Antonio Iovane, da pochissimi giorni in libreria.
In una diretta che ha raggiunto, incredibilmente, punte di 160 spettatori, abbiamo raccontato di questo libro-inchiesta che tra ricostruzione giornalistica, fiction e memoria, riporta alla luce uno degli episodi marginali e forse uno dei più inquietanti del caso Moro: la seduta spiritica tra professori dell’ateneo bolognese nella villa di Alberto Clò a Zappolino, frazione di Castello di Serravalle.
A diciassette giorni dal rapimento dello statista democristiano, il 2 aprile del 1978, in quella villa troviamo una dozzina di persone tra cui Romano Prodi, Franco Bernardi, Mario Baldassarri e Fabio Gobbo, alle prese con una vera e propria seduta spiritica che rivela il quartier generale delle Brigate rosse in cui dormiva Mario Moretti, il capo politico mai dissociato e pentito.
Con Iovane abbiamo ripercorso i giorni e il clima di quel 16 marzo 1978, in cui Aldo Moro fu rapito dalle Brigate rosse, che lo segregarono per 55 giorni e poi lo uccisero il 9 maggio.
Al centro del libro, un excursus su quella storia e quella ferita che ancora sanguina per la nostra democrazia. A quarantatré anni dal ritrovamento del cadavere di Moro nella Renault 4 in via Caetani (quello che il poeta Mario Luzi definirà “abbiosciato sacco di già oscura carne… acciambellato in quella sconcia stiva”), si viene a scoprire che di quella strana e assurda seduta spiritica per trovare Aldo Moro non vi è stato un grande approfondito.
Antonio Iovane è andato a spulciare tra le pagine degli atti delle varie commissioni parlamentari che si sono succedute, è andato a cercare incongruenze ma anche a capire le ragioni per cui non si vollero approfondire quegli indizi che, se ben utilizzati, avrebbero consentito di risalire al principale covo delle BR. Stupisce molto, dalla lettura del libro, come i partecipanti a quella seduta abbiano tenuto ferme con caparbietà le loro posizioni e la loro visione, come nessuno abbia mai violato il silenzio. Stupisce ancora di più come questa storia marginale vada ancora a toccare nervi scoperti.
Nel 2019, sempre per Minimum Fax, Iovane aveva pubblicato Il Brigatista, un avvincente romanzo ambientato sempre negli anni della strategia della tensione, con l’intento sempre di andare ad approfondire temi riguardanti quegli anni. Con La seduta spiritica ci racconta cosa accadde quel pomeriggio.
L’indagine in questo libro viene aperta e chiusa da un grande scrittore, Leonardo Sciascia, che è un po’ il protagonista morale della storia. Uno scrittore profondamente segnato dal caso Moro, ma anche dalla persona fisica di Aldo Moro, al punto da determinare, in un certo qual modo, anche le sue scelte politiche, tra cui l’addio al PCI o la candidatura nel 1979 con i Radicali di Pannella.
Nel settembre del 1978 lo scrittore aveva pubblica per Sellerio L’affaire Moro, sul sequestro, il processo e l’omicidio nella cosiddetta “prigione del popolo” dello statista da parte dalle Brigate Rosse. Nel giugno del 1979, eletto deputato, finisce per occuparsi dei lavori della Commissione d’inchiesta sulla strage di via Fani, sul sequestro e l’assassinio di Moro (con una forte critica rivolta alla cosiddetta “linea della fermezza”) e sul terrorismo.
Sciascia scrisse l’Affaire Moro a pochi mesi dagli eventi e il testo produsse parecchio scalpore. Oggi, passati oltre quarant’anni e riempitesi mensole di paccottiglia complottista sull’argomento, la lettura di quel libro – che nelle sue ultime edizioni contiene in appendice anche la relazione di minoranza che Sciascia, da deputato radicale, firmò al termine della prima commissione parlamentare d’inchiesta – rimane una esperienza sorprendente.
Il libro di Iovane si apre con Sciascia che rimugina tra sé e sé: “Le cose sono quasi sempre semplici”. Lo fa in un pomeriggio del giugno 1981, mentre ascolta Romano Prodi raccontare di quella seduta spiritica, nata come un gioco per ingannare il tempo in un pomeriggio piovoso. Sciascia ascolta con grande imbarazzo Prodi, futuro presidente dell’Iri, che racconta di questa comunicazione con delle entità e nella fattispecie i fantasmi di Don Luigi Sturzo e Giorgio La Pira, i quali avrebbero dato il nome di Gradoli come luogo in cui era tenuto prigioniero Moro.
Il sospetto di Sciascia è che potrebbe essere stato qualcuno contiguo alle BR ad aver suggerito il nome di quella via e che per rivelarlo, senza tradire la fonte, uno dei professori abbia inscenato la storia della seduta spiritica.
In seguito alla segnalazione, Prodi si reca a Roma per trasmettere l’indicazione al capo ufficio stampa dell’onorevole Zaccagnini. Sulla base della segnalazione dall’aldilà venne organizzata una perlustrazione a Gradoli in provincia di Viterbo. Al ministero dell’Interno, presieduto da Francesco Cossiga, avevano già in precedenza ricevuto una segnalazione su via Gradoli a Roma, ma nessuno mette in relazione le due cose: una soffiata aveva segnalato che lì c’era un covo delle BR. Gli agenti bussano ma non risponde nessuno. Secondo le disposizioni, a quel punto i poliziotti avrebbero dovuto sfondare la porta, invece vanno via. Solo il 18 aprile quella porta viene sfondata, ma dai pompieri che ci arrivano a causa di un allagamento: una messinscena organizzata affinché il covo venga scoperto.
Davvero un semplice piattino da caffè o un posacenere capovolto si mosse da solo tra le lettere dell’alfabeto, disegnate su un foglio di carta formando la parola Gradoli?
Iovane fa una una ricostruzione indiziaria, un racconto-inchiesta che mette in rilievo gli equivoci e le circostanze ambigue di questa storia, facendone emergere il ritratto di un paese senza verità con molti misteri, troppi enigmi complessi e oscuri e troppe mezze verità e silenzi, come quello dei professori.
Apprendiamo dal libro che fu lo stesso Cossiga a definire una onesta baggianata la seduta spiritica, aggiungendo che in un qualunque altro paese avrebbero chiuso Prodi in una stanza sigillata fino a quando non sputava il nome dell’informatore.
Furono fatte indagini sulla vicenda, ma sulla base degli eventi la magistratura non avrebbe potuto indagare nessuno per falsa testimonianza. Certamente fa specie che un gruppo di studiosi, con una salda fede cattolica, si siano ostinati negli anni con questa storia degli spiriti, sapendo che la Chiesa condanna lo spiritismo.
Non meraviglia il clima in cui matura l’idea di ricorrere al paranormale: sono gli anni in cui gli italiani subiscono una fascinazione per il mistero (sono centinaia di migliaia gli spettatori che guardano in televisione Ugo Pagliai nello sceneggiato Il segno del comando) e lo stesso ministro dell’Interno, nei primi giorni del rapimento Moro, aveva mandato un emissario in Olanda dal famoso chiaroveggente Gerard Croiset.
Leggendo questo libro notiamo che sono numerosi i misteri e le interferenze intorno all’appartamento di via Gradoli: a un tavolo di un bar vediamo Benigno Zaccagnini, postulante, con Francesco Forni, sgarrista del clan Romeo di San Luca, che poi arriva anche lui a fare il nome di Gradoli.
In quei giorni drammatici, anche il deputato Benito Cazora vaga in macchina sulla Cassia assieme allo ‘ndranghetista Salvatore Varone, che definisce Gradoli “zona calda”.
Da un colloquio recente di Iovane con l’ex senatore Giovanni Pellegrini, presidente della Commissione stragi, si chiarisce anche che l’irruzione militare nel paesino di Gradoli non ci fu e che l’equivoco fu generato nell’immaginario collettivo dal film di Giuseppe Ferrara del 1986.
Spiriti che offrono indizi, chiaroveggenti, semplici perlustrazioni di case abbandonate e grotte scambiate per irruzioni, recite ben congegnate, improvvisazione e concitazione nelle indagini, tanti e troppi misteri, insieme alla volontà precisa di non voler salvare Moro. Le cose semplici sembra che si faccia di tutto per renderle aggrovigliate. Ma Iovane mette insieme fatti, testimonianze, mescolando finzione e reportage, interviste e memoria autobiografica, rendendo molto chiara e agevole una faccenda che chiara e agevole non è. Indagare su questa storia per quasi dieci anni con passione e partecipazione ha restituito al lettore un volumetto agile e interessante.
Nel finale della diretta, il giornalista e scrittore ci ha salutato raccontando che indagare su questa vicenda gli ha lasciato dentro una frustrazione pasoliniana, quella stessa che investe Leonardo Sciascia, sofferente e insofferente, nelle pagine finali del libro.
Lettura consigliatissima e, anche qui, il mio fiuto da povero vecchio libraio prevede grandi numeri e successo tra i lettori forti.
Antonello Saiz