«C’è un profondo senso di fallimento nella guarigione. Guarire significa anche perdere se stessi perché ti eri identificato con la malattia, quindi se perdi la malattia perdi anche chi sei. Ti vedevi come una persona magra, in controllo, che non mangia certe cose e che ne mangia altre, e di conseguenza vive in un certo modo. L’impiego delle energie, la disciplina, l’abitudine, la routine diventano così forti che tu diventi quello, tu sei quello. Lasciare indietro la malattia vuol dire lasciare indietro la persona che eri. Significa anche perdere: hai fallito, non sei arrivato all’ideale, non sei diventato perfetto.»
Chiara Marchelli, Redenzione. La prima indagine di Maurizio Nardi, NN Editore
Un intero fine settimana di Redenzione, potremmo dire. Trascorso nell’accompagnare la scrittrice Chiara Marchelli nella prima uscita pubblica di presentazione del suo nuovo romanzo sul gruppo Facebook di Book Advisor. Poi in una magnifica presentazione, assieme alla mia socia da una vita in libreria, la giornalista Alice Pisu, a Palazzo del Governatore per la quarta edizione dell’iniziativa “I Like Parma”, organizzata dall’Assessorato alla Cultura del Comune di Parma.
Chiara Marchelli è tornata a Parma, e ai Diari, per la quarta volta con Redenzione. La prima indagine di Maurizio Nardi.
L’abbiamo fortemente voluta perché un solido legame ci lega al percorso della scrittrice aostana, che vive a New York da oltre venti anni. Lì insegna Letteratura Contemporanea, Traduzione e Scrittura Creativa presso la New York University.
Il romanzo, come il precedente, La memoria della cenere, è stato pubblicato dalla casa editrice milanese NN Editore il Primo ottobre. È un giallo insolito, sicuramente mozzafiato, ma che, intrecciando l’indagine poliziesca alle radici storiche della follia come punizione, in realtà vuole focalizzarsi sul delicato tema dell’anoressia. Una tappa di quel percorso iniziato proprio con il noir d’esordio, pubblicato nel 2003 da Marsilio, dal titolo di Angeli e cani, e continuato con due romanzi editi da Piemme, una raccolta di racconti per Fazi editore dal titolo Sotto ai tuoi occhi e proseguita nel 2017 con Le notti blu, edito da Giulio Perrone Editore, selezionato tra i dodici finalisti del Premio Strega.
Romanzi che trattano sempre temi incandescenti, in cui il lettore finisce per essere scuoiato vivo perché con la scrittura si va a scavare in quella zona dove sono riposte le ragioni più intime ed essenziali dell’esistenza umana. Fermo restando il fatto di essere in zona di genere Giallo – essendoci un delitto, una scomparsa, una indagine investigativa, la risoluzione del caso – ma anche questa volta, già leggendo le prime pagine, i risvolti sono tanti e si intuisce che si va a indagare in qualcosa di più profondo.
Ci sono due indagini sul piano dell’investigazione, quello di un delitto di una donna per strangolamento e quello della scomparsa della protagonista. C’è poi una terza indagine, parallela, in cui non si cercano i colpevoli di un crimine, ma si indagano i perché della colpa. Quelli che, il più delle volte, sfuggono.
Un giallo esistenziale, costruito con rara maestria nella scelta formale, dove il passato sboccia nel presente in una storia a incastri e dove alla narrazione vera e propria si alterna sia una voce che è preghiera e percorso nella mente e nella fragilità dell’animo femminile, sia le lettere della madre di una delle protagoniste internata in un manicomio. Sono queste lettere, potentissime, a colpire dritto al cuore il lettore perché, come un fiore velenoso, raccontano la terribile atrocità di anni dimenticati e rimossi.
Lo schivo e inquieto comandante dei carabinieri, Maurizio Nardi, nella calda estate del 2019 deve indagare sul ritrovamento del cadavere di una donna, Antonella Franchi, ritrovata in un fosso ai piedi delle Balze di Volterra. Nella stessa estate, Giorgia Sala, aostana che vive e lavora a Milano, arriva nella cittadina dalle pietre millenarie, dove da tre anni ha scelto di vivere isolata da tutti per un mese alla ricerca di un tempo rallentato, tra le cene alla trattoria di Ines, i tramonti e i silenzi della campagna.
Conosce Malina, un ragazza che per anni ha vissuto all’estero. Tra le due donne si stabilisce subito una intesa, un contatto fatto di condivisioni di dolori e paure e debolezze. La riservata Giorgia si sente a suo agio con la nuova amica, libera di raccontare anche la sua storia di anoressia e la fine di una storia d’amore con un ragazzo, che ora vive in Canada.
Dall’altra parte, Malina riconosce tra le ferite del percorso di anoressia di Giorgia le ferite della madre Rita, ricoverata poco più che adolescente nel manicomio di Volterra dal 1964 e qui rimasta fino al 1985, anche dopo l’approvazione della legge Basaglia (la 180 del 1978), che chiudeva quelle strutture come unica soluzione, fino a quel punto, del disagio mentale.
Mentre il comandante Nardi indaga per ricostruire le relazioni e i movimenti della donna strangolata, anche Giorgia scompare misteriosamente. Nardi ha così un nuovo caso da risolvere. Affiora un senso di colpa antico del comandante, tra mandati da chiedere a Isa (il magistrato sua ex compagna), interrogatori da fare, tabulati da studiare insieme al bellissimo Mileto e la quotidianità familiare con Lara. Entra dentro la sua ossessione, Nardi, arrivando a misurare il perimetro delle stanze che abita, pur di rendere giustizia e espiare quella colpa, quel peccato originale. C’è una caverna tutta nera: le porte di un passato pieno di fantasmi, che vengono riaperte per molti dei protagonisti di questo romanzo. È il male, quello dentro cui veniamo sbalzati nella lettura perché questo romanzo è un viaggio di anime tormentate nella colpa, nel dolore ma, soprattutto, un viaggio nell’anoressia.
L’autrice, attraverso le due protagoniste, riesce a farci capire come nell’anoressia, quando ti metti a dieta, il malessere ha solo trovato una sua forma e consistenza e che quella malattia è l’aspirazione di corpi imperfetti a raggiungere una perfezione irraggiungibile. Però indica anche come quel continuo bisogno di controllo del cibo, dei piaceri, degli istinti, può diventare un rifugio, un posto in cui stare da soli. Un posto della purezza, che è rivendicazione della propria personalità, bisogno di affermazione sul proprio corpo.
Ecco spiegato, forse, come la vera indagine del libro sia quella ricerca dell’origine della follia, il capire i misteriosi legami che portano una donna a rifiutare il cibo e cosa si vuole realmente rifiutare quando si smette di nutrirsi.
Il collegamento con le sante anoressiche del medioevo, la storia di Santa Caterina da Siena o di Santa Veronica Giuliani, serve a indagare più approfonditamente quelle zone tra gli interstizi dell’animo umano, in cui il male subìto, quello inflitto a se stessi e agli altri, diventa bisogno di affermazione, fame di libertà, riscatto dall’infelicità. L’appiglio alla fede, è poi spesso solo una conseguenza, proprio come accade a Rita, la mamma di Malina, adolescente difficile costretta a diventare adulta tra le stanze e i corridoi del manicomio di Volterra. I padiglioni dismessi da decenni del manicomio, diventano il fulcro della narrazione presente come pure i luoghi di dolori lontani, ospitati in quelle mura tra urla, rumori di cinghie legate ai letti, pianti, lacrime, scariche elettriche e istinti di brutale violenza.
Le lettere dal mondo dell’atrocità di Rita, lettere mai recapitate ai destinatari ma archiviate nelle cartelle cliniche, sono la cronaca spietata di quegli anni dimenticati, sono il riecheggiare di tante storie ospitate tra le mura di quella struttura creata alla fine dell’Ottocento, arrivata a ospitare prima della guerra quasi cinquemila ospiti. Il più delle volte un lager con un ordine gerachico terrificante e dove, per finirci dentro, non serviva nemmeno avere problemi di salute: spesso bastava essere un po’ originali, o poveri, o orfani, o semplicemente donne.
La redenzione del titolo, quel concetto religioso che indica espiazione di una colpa, assoluzione dal peccato originale o dai peccati commessi, diventa parte della salvezza o è finalizzata alla salvezza di ogni singolo personaggio del libro… Ognuno ha le sue redenzioni, scrive Giorgia a Nardi, ed è lì che si capisce che la fine narratrice si è servita di un genere per focalizzarsi su altro. Non a caso nella presentazione a Parma ha citato come suo riferimento la visionarietà di Margaret Atwood, una delle scrittrici di narrativa e di fantascienza capaci di passare, con estrema versatilità, dai romanzi alle poesie ai racconti per la rivista Playboy, ma sempre con lo scopo di testimoniare una continua preoccupazione per il femminismo, la civiltà occidentale e il crescente degrado della politica, da lei considerate a un crescente stadio di degrado.
Antonello Saiz