«Il giorno prima o il giorno dopo la festa di maggio venne Dora a chiamarmi e mi portò a vedere mio cugino morto sul terrapieno degli ulivi. Pendeva dall’albero, sembrava un pupazzo. Dopo settimane di scarsa cura era pulito, sbarbato. Ai piedi del tronco, i vestiti piegati e stirati, il soprabito steso sull’erba, le scarpe, ben lucidate, accostate. Mi sembrava che dondolasse, ma non c’era vento a sufficienza, era un effetto ottico».
Inizia così, dall’epilogo finale, Terrapiena di Carola Susani, uscito a inizio marzo, pochi giorni prima dell’inizio del caos mondiale legato all’emergenza Coronavirus. Con questo secondo capitolo si prosegue nella trilogia di Italo Orlando, il misterioso protagonista che avevamo conosciuto già nel libro precedente, La prima vita di Italo Orlando, uscito sempre per minimum fax nell’autunno del 2018. Con uno stile personalissimo e attento, in questa seconda parte della trilogia su Italo, Carola Susani ci proietta in un mondo di politica e di politiche e in un passaggio cruciale nella storia del nostro paese, quando per un momento sembrò che la giustizia fosse prossima e che anche l’amore libero potesse avere piena consapevolezza. Siamo nella Sicilia degli anni Settanta, su una grande spianata, sotto un terrapieno coltivato a ulivi, sorge una baraccopoli eretta dopo il devastante terremoto del Belice: è settembre, sta per arrivare Italo Orlando e sta per cambiare tutto. È un luogo apparentemente secco e arido, con i cani randagi che ci girano intorno affamati, nelle abitazioni mancano i servizi essenziali, manca l’acqua e la corrente c’è e non c’è. Ma soprattutto tra i baraccati mancano quelli che sono i diritti elementari. Ogni diritto è negato. Ai margini di quella baraccopoli, nella parte meno salubre, insieme ad accattoni, malacarne e puttane, un gruppo di attivisti ha fondato una specie di comune. Si tratta di anarchici, comunisti, hippie italiani e stranieri, che cercano di spingere gli altri baraccati a ribellarsi. Un giorno, sulla riva del fiume, i bambini della comunità trovano un giovane dai riccioli biondi e da uno strano colorito della pelle. Senza memoria e senza nome, appare a testa in già, questa creatura luminosa e prodigiosa, questa figura affascinante portatrice di qualcosa di miracoloso ma pure di gettare scompiglio assieme ai cambiamenti. Gli danno il nome di Italo Orlando, sulla scia di una leggenda in base alla quale, anni prima, il figlio di un avvocato Orlando, impazzito, aveva cominciato a girare per la Sicilia a piedi scalzi portando fortuna a chi se lo prendeva in casa. A narrare l’arrivo di Italo è Ciccio, un giovane, all’epoca preadolescente, che abita in una delle baracche con una madre distaccata e assente, che ha occhi solo per la sorella Maria, e con uno Zio, che ha sostituito il padre mai conosciuto, e che lo prende a cinghiate ed è un esponente minore della mafia locale. Ciccio è un ragazzino selvatico in cerca di affetto e cibo, solitario e sbandato, bramoso di vita e in fuga da una realtà misera e violenta. Un ragazzo-bambino irrequieto e ribelle che si attacca agli adulti e finisce per provare attrazione per questi capelloni che lo accolgono e lo sfamano senza condizioni. Sarà proprio questo gruppo che accoglie tra le proprie schiere anche Italo Orlando. Il racconto di questa favola nera di rovina è affidata a questo tredicenne dallo sguardo sognante che trova una seconda casa in questa comune di anarchici ribelli alle logiche mafiose. Lottano per un mondo più giusto, per condizioni elementari più dignitose e per quelli che sono diritti elementari di tutti, gli hippie delle baracche. L’arrivo del “dio del cambiamento” stravolgerà un po’ tutti, gettando luce in quelle che erano zone d’ombra, ma principalmente il suo arrivo sarà capace anche di innescare amore anche in un contesto infausto e sarà proprio Saverio, uno studente di umili origini, cugino di Ciccio di qualche anno più grande, che si innamorerà di Italo. Saverio, il figlio ribelle di quello Zio violento, che inizia una storia d’amore omosessuale con Italo e che troviamo a inizio della storia, penzoloni da un ramo di ulivo, a presagire il disastroso finale. In questo contesto di solitudini doloranti, Italo appare e diventa il motore silenzioso di eventi, proprio come un novello Prometeo e con una strana energia addosso che va influenzare la realtà circostante. Ma, nel finale, misteriosamente sparisce, portandosi via con sé la fortuna e innescando tutta una serie di eventi catastrofici. Tramonta con la scomparsa di Italo una possibile stagione di cambiamenti e si consolida quello che sarà, per decenni, il potere mafioso violento nell’isola. Bisognerà aspettare tempi più maturi e ancora molti anni per una stagione di nuove lotte e di maggiore consapevolezza civile. Una favola nerissima sulle speranze infrante e sulla breve stagione della giovinezza. Un libro di rara sensibilità che, senza facili moralismi, affronta anche tematiche scomode come la diversità e la discriminazione e la cattiveria che alberga negli animi umani.
Per molti versi a me, e a molti lettori forti, è sembrato che questo libro dialogasse apertamente con un altro libro uscito di recente in questi mesi, quello della giovanissima scrittrice americana, Catherine Lacey, che con la sua scrittura vivace e innovativa, avevamo apprezzato col suo esordio Nessuno scompare davvero. Nel nuovo romanzo, pubblicato sempre nella Collana BigSur e sempre con la traduzione di Teresa Ciuffoletti, dal titolo A me puoi dirlo, affronta direttamente proprio il tema dell’incontro e confronto con lo sconosciuto, il diverso, lo straniero. In una comunità dell’America del Sud, con un profondo senso religioso, e che si dichiara pronta ad accogliere qualunque “fratello”, viene trovata su una panca della Chiesa, addormentata, una persona sconosciuta, dalla pelle di un colore diverso, senza nome e di cui è impossibile stabilire sesso e provenienza e origini, perché si rifiuta di parlare. In questa comunità di provincia l’introduzione di un elemento totalmente estraneo fa vacillare quelle che si credevano certezze e pone nuove, drammatiche, questioni. Tutti si dichiarano pronti ad accogliere questa persona ma le domande dall’iniziale «A me puoi dirlo» presto diventano «A me devi dirlo», finendo per mettere a nudo le ipocrisie e le paure dei singoli abitanti. I due romanzi, diversissimi tra loro per ambientazione, struttura e anche finalità e messaggio, sembrano invece dialogare terribilmente tra di loro su un terreno comune: entrambi mettono a nudo le complicate relazioni che regolano i rapporti interpersonali. Italo Orlando come Panca ci interroga e pone quesiti alla nostra capacità di accogliere gli altri, senza doverli, necessariamente incasellarli dentro nostre categorie interpretative. Panca e Italo, entrambi senza avere una precisa identità precostituita, si fanno portatori, in due diversi romanzi, di cambiamenti e scompigli e ci pongono domande profonde sul nostro saper accogliere gli altri e relazionarci, a prescindere dalle caratteristiche corporee. Due libri che ruotano intorno al rapporto con l’altro, il diverso, lo straniero e due scrittrici straordinarie che non possono non piacere a chi ama storie fuori dall’ordinario e dalla banalità. Ecco, leggiamo Terrapiena e A me puoi dirlo!
Antonello Saiz