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Antonello Saiz su “Gleba” del collettivo Tersite Rossi

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“È per quello che l’avevano assunta come addetta alle pulizie. Perché non si stancava mai. Perché poteva lavorare anche per dieci ore di seguito, per sette giorni di fila. Perché non sapeva cos’era la malattia. Perché il suo organismo era proprio così: particolarmente robusto, particolarmente resistente. Perché Assunta lavorava come un uomo. E si poteva pagarla come una donna.”

Questo passaggio tratto da “Gleba”, il nuovo romanzo del Collettivo di Scrittura Tersite Rossi, sintetizza molto bene la complessità dei temi trattati. Un libro avvincente, intrigante ma anche inquietante. Avvincente quanto la presentazione fatta dalla viva voce di uno dei membri dell’antieroico collettivo Tersite, martedì 14 Gennaio, in libreria ai Diari di Parma: una vera e propria istigazione alla lettura per gli attenti lettori presenti. In realtà il libro Gleba è stato presentato con il Collettivo dimezzato, essendo ammalato uno dei due autori, il trentino Mattia Maistri. Il casalasco Marco Niro, da solo sul nostro mitologico sgabello bianco, ci ha raccontato, in un lungo monologo, di questo loro ultimo romanzo uscito il 17 ottobre scorso con Edizioni Pendragon.
Nell’anno di Parma Capitale Italiana della Cultura, noi dei Diari continuiamo a fare i bravi sabotatori della cultura di sistema e a colpi di letteratura antipotere, come nel caso di questo tagliente romanzo. Si intitola Gleba ed è già forte nel titolo il richiamo medioevale ai servi della gleba, all’ultimo gradino della scala sociale, a quegli schiavi senza diritto, alla carne da fatica. Un romanzo inchiesta sulla nostra contemporaneità che affronta il tema del lavoro in un’epoca in cui sembrano non solo prevalere precariato e sfruttamento ma sono scomparse dai radar, pure, le lotte sindacali e il senso di appartenenza. Un grande affresco corale che vede protagonisti personaggi marginali e perdenti e tutti che faticano ad adattarsi allo schema sociale contemporaneo. Viene insomma raccontata la nuova gleba e già nelle citazioni dell’esergo, di Bukowski e Der Wald, sono chiari gli intenti: un romanzo d’inchiesta capace di mettere al centro del tessuto narrativo la fragilità del mondo del lavoro e attraverso il lavoro precario, quello somministrato e il lavoro svilito costruire quattro diverse storie che s’intrecciano in modo originalissimo tra loro. Dopo aver visto Ken Loach al cinema la settimana scorsa, la lettura di questo romanzo è stata quasi la naturale continuazione, un occhio tenuto ancora fisso sulla triste realtà dei diritti del lavoro perduti e presi a mozzicate.
Marco ci ha raccontato anche come è nato il Collettivo e del perchè di quel nome nome prima di analizzare e approfondire molte delle tante tematiche evidenziate in questo romanzo bello e spiazzante. Ci ha raccontato, dapprima, del loro esordio nel 2010 con il romanzo “È già sera, tutto è finito” (Pendragon) e quindi della scelta di abbracciare il genere della Narrativa d’Inchiesta; quel primo romanzo era tutto centrato sul tema della cosiddetta trattativa fra Stato e mafia d’inizio anni Novanta. Nel 2012 la scelta di un noir distopico, ambientato in un futuro fin troppo prossimo, intriso di tecnocrazia liberticida e folli tentativi di ribellione e dal titolo “Sinistri”, pubblicato all’interno della collana “SabotAge” curata da Massimo Carlotto per le “edizioni e/o”. Nel 2016 il terzo romanzo, il thriller economico-antropologico “I Signori della Cenere” (Pendragon), a chiudere la “trilogia dell’antieroe” avviata con i precedenti due, sullo sfondo della crisi finanziaria d’inizio millennio e delle sue ragioni più profonde, ancestrali.

“Gleba”, appartenente al filone della new italian epic è tutto incentrato, come accennavamo all’inizio di questa cronaca, sulla tematica del lavoro, sfruttato e vendicato, che segna l’ingresso nell’era del post-eroe. Neanche in questo nuovo romanzo vengono meno quelli che sono gli elementi ricorrenti nella scrittura di Tersite Rossi, a partire dalle riflessioni sul potere e i suoi abusi, sull’ineluttabilità della sconfitta di chi prova a sfidarlo, sull’incastro fra la Storia con la maiuscola e quella con la minuscola, lo svolgersi inesorabilmente circolare delle vicende umane, il ruolo talvolta cinico, talvolta salvifico, comunque sempre decisivo, della casualità e del fato. Lo pseudonimo è un omaggio al signor Rossi, l’uomo della strada, e a Tersite, l’antieroe omerico, emblema dell’opposto di ciò che tutti si attendono. È brutto, debole e codardo in un mondo di belli, forti e coraggiosi. 

Più volte nel monologo di Marco sono stati citati i morti sul lavoro. E forse sono le oltre seimila morti bianche invisibili che ogni giorno muoiono nel mondo del lavoro ad aver ispirato questo libro. Son morti bianche invisibili che non tornano a casa ma non fanno rumore. Una guerra che non ha risposte di diritto, niente tavoli di discussione. Una lunga lista che toglie vita, perchè di lavoro nero, di lavoro mal pagato, di lavoro non garantito si muore: si muore schiacciati, si muore incastrati, si muore ustionati e folgorati, si muore esplosi, si muore precipitando, si muore annegati per omicidi del lavoro. Si muore non visti. Morti sul lavoro aumentati sensibilmente anche nel nostro paese, dove si muore lavorando esattamente come si moriva cinquant’anni fa. Una strage inaccettabile. Sono tre al giorno i morti per lavoro in Italia. Una vera e propria strage, solo negli ultimi sette mesi sono state 599 le vittime. Eppure cinquant’anni fa in Italia c’era l’autunno caldo, mentre oggi l’unico calore autunnale è quello portato dal cambiamento climatico. Eppure oggi, a differenza di cinquant’anni fa le leggi ci sono; quello che manca sono i controlli. La tesi portata avanti nel libro è che stiamo diventando tutti quanti servi di una nuova gleba senza reagire, se non prendendocela con chi è asservito come e più di noi. Non vediamo la mano di chi stringe le nuove catene. E’ come se dopo tante lotte si sia persa la speranza di un miglioramento collettivo e si cercano solo strade individuali, un modo di cavarsela alla meno peggio. La risposta neoliberista degli ultimi venti anni ha modificato il modo di pensare, il senso comune, i rapporti tra le persone. Sarebbe necessario e urgente un piano nazionale per la prevenzione in un paese dove la sicurezza è sempre più vissuta come un costo e non rappresenta un investimento. Nel tempo dei lavori precari e delle riduzioni delle tutele, romanzo di Tersite Rossi ci pone di questi interrogativi a fine lettura. Quattro sono le storie principali in questo romanzo e ognuna con dei personaggi chiave: Paolo, ragazzo insicuro e introverso, frequenta una scuola elitaria, dove gli studenti sono spinti a una competizione feroce come quella del mercato del lavoro che li attende; Adriana, impiegata modello in un colosso dell’e-commerce, la sera torna a casa e studia da brigatista, per vendicarsi dei padroni che le han portato via il marito e la migliore amica; Amina, figlia d’immigrati marocchini, dopo la morte sul lavoro del padre si è smarrita nel tunnel del vuoto esistenziale, da cui prova a uscire abbracciando il jihad; Enrico e Valeria, marito e moglie, conducono una vita precaria come il loro lavoro: lui sublima con la letteratura, la palestra e le avventure extraconiugali, lei con il sogno di un figlio. Proprio quando queste esistenze così distanti, ma tutte asservite, inizieranno a toccarsi e a confidare in una svolta, comincerà il conto alla rovescia di un duplice, pazzesco attentato terroristico, pronto a travolgere tutto e tutti. A sperare di resistere sarà solo chi avrà il coraggio di svolgere il mestiere più difficile: quello di vivere.
Una grande città italiana, una come tante, a fare da sfondo. Quattro storie, destinate a intrecciarsi, a condurre la trama. Il lavoro, quello sfruttato, sognato, svanito, a tessere il filo rosso.

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