Nella mia cronaca indipendente vi voglio raccontare che esiste a Parma, dal 2007 ormai, una rassegna davvero unica col nome insolito de Il Rumore del Lutto.
Si tratta di un Progetto culturale di ricerca e di riflessione interamente sul tema del lutto e che si svolge in vari luoghi della città. Gli ideatori e curatori della Rassegna sono Maria Angela Gelati, tanatologa, formatrice e giornalista e Marco Pipitone, dj,critico musicale e fotografo.
La Rassegna ha l’ambizione di individuare un nuovo spazio, destinato alla Death Education, al dialogo e alla riflessione sulla vita e sulla morte, attraverso il colloquio interdisciplinare e trasversale fra differenti ambiti. Il tema della tredicesima edizione era Passaggi, e noi, come libreria indipendente che da quattro anni collabora al progetto, abbiamo pensato di partecipare con due libri molto particolari e diversi tra loro: Il tempo di morire di Eduardo Savarese, Wojtek edizioni e Perché comincio dalla fine di Ginevra Lamberti, Marsilio.
Passaggi e perdite e assenze sono, purtroppo, argomenti dentro cui, io personalmente, mi sento parecchio coinvolto: parlare di morte, e raccontarla dalla distanza e dalla prospettiva di chi resta, è un tema a me molto caro. Le perdita e le assenza ci accompagnano sempre, tutti e tutti i giorni e tutte le notti e tutte le ore, fino al passaggio in cui si trasformano in presenza.
La presenza delle persone che ci hanno lasciato, che non sono più fisicamente con noi, finisce per accompagnarci dovunque e ci è cara e ci consola e ci fa compagnia, e dialoga con noi. Un giorno, parlando del mio compagno morto, un mio amico mi ha scritto che la vita è un soffio di vento in un bosco, passa, e vola via.
Si vive, per lasciare segni, e ricordi, nelle vite di chi resta. Igino ha lasciato, in me e in chi lo ha amato, ricordi di una dolcezza infinita e pensieri intagliati di sorrisi. Queste sono già due buone ragioni per cui diventa obbligatorio sciogliere tutti quei nodi nella gola: chi è stato un soffio buono, e dolce, nel bosco della vita deve dare respiro a chi resta, tregua per continuare.
Nel mio percorso di elaborazione del lutto, molto hanno fatto i libri e molto ha fatto la lettura, recente, di questi due libri. Un piccolo saggio-memoir e un piccolo diario di viaggio ironico e poetico, entrambi con capitoli brevi, hanno in due momenti diversi della mia vita, a distanza di tre mesi, donato respiri allargati. Due libri che richiedono non tempi di lettura, ma piccole pause emotive e, poi, accomunati entrambi dalla particolare forma stilistica. Con Il tempo di morire e Perché comincio dalla fine, ci troviamo, in entrambi i casi, davanti a una forma se non nuova di sicuro poco frequentata nella letteratura italiana: alle voci narranti di fatti del quotidiano e storie personali vengono alternate, nel caso di Eduardo Savaresere, dati legislativi e elementi saggistici, nel caso di Ginevra Lamberti, le voci di ospiti illustri e per varie ragioni esperti di cose di morte.
Così, in lettura si passa dalle storie personali ad altro senza apparente soluzione di continuità, in una compattezza e un flusso linguistico unico che rende il discorso sulla morte condiviso e universale. Due libri che riaccordano e pacificano con la vita, due libri che ridefiniscono la consapevolezza nel dolore. Due libri per poter tornare a parlare di corpi che si decompongono ma pure di libera scelta e di dolore che ridefinisce e stabilizza conoscenza.
Ne Il tempo di morire di Eduardo Savarese (che solo una piccola casa editrice come Wojyek ha avuto il coraggio di pubblicare nell’aprile del 2019, dopo che il libro ha subito il rifiuto ingiustificato di moltissime altre!) si racconta che c’è un tempo per morire e di morire per ognuno di noi. Savarese, che è magistrato e studioso di diritto internazionale, accanto al racconto del privato più privato va ad affrontare questioni delicate che ci riguardano e vanno a toccare la sensibilità e la coscienza di ognuno di noi.
Difficile raccontare di fine vita e eutanasia e suicidio assistito e morte prematura o morte improvvisa di nutrizione artificiale o dignità e santità della morte, perché di questi non si deve parlare. Il nostro finire è tabù: la morte innesca spesso solo scongiuri, paure, desiderio di rimozione.
La morte, la sua presenza costante nelle vite di tutti, la sua rimozione forzata dalla vita pubblica, il disorientamento davanti al lutto, le normative che incasinano il post-mortem, sono, invece, tutti temi trattati nel bel libro di Savarese, invece, con toni lievi e con leggerezza.
Vengono dissezionati tutti i temi della morte, alternando,sapientemente e con la bella scrittura, il racconto autobiografico e la trattazione saggistica. Un libro che ci interroga e pone dubbi e cerca pure risposte su temi etici. Il tutto da una prospettiva che è, insolitamente, al contempo laica e religiosa, perché l’autore è profondamente credente.
In Italia, purtroppo, su certe tematiche ci si sente autorizzati a dire tutto e il contrario di tutto, invece Savarese, prendendo in esame anche le legislazioni di altri paesi, sottolinea criticità e punti di forza, ma soprattutto prepara il terreno per la creazione di una cultura della morte.
Il romanzo di Ginevra Lamberti, con tono ironico e divertito, prende in giro la precarietà della morte, oltre che della vita. Da un divano a Vittorio Veneto sul quale si accorge di non avere un posto né in questa vita né nell’altra la protagonista di questo romanzo, Ginevra, si alza per raccontare tutti coloro che, invece, a un posto per l’altra vita ci hanno pensato. È questo il soggetto di Perché comincio dalla fine di Ginevra Lamberti, romanzo-non romanzo a metà fra narrazione e reportage , fiction-non fiction, diario-reportage, uno scanzonato, insomma, e spensierato libro sulla precarietà dell’esistenza e sulla morte.
Il libro è pubblicato da Marsilio, casa editrice veneziana di saggistica e narrativa. Pure il dolore, nel libro, è sempre tinto di quel divertimento involontario di chi resta a vivere ancora un po’ ed è questo l’aspetto che rende questo libro a suo modo particolare come la copertina di color rosa fluo e con quei fiammiferi accesi. Ginevra comincia dalla fine raccontando Venezia e la morte intorno.
Ma si racconta della morte, per parlare, in fondo, della vita. Si comincia dalla fine, quando la morte è cosa viva, per affrontare in maniera dissacrante uno dei temi che era più sotterraneo nel precedente libro, uscito per nottetempo nel 2015, La questione più che altro.
Perché cominciò dalla fine è cominciare davvero a riaccordare un dolore. È recuperare anche sollievo al pensiero di trovarsi ancora vivi. Sollievo di un ricordo, di un colore o una luce, di una musica nella testa, di una mano che accompagna sulla spalla, di un sapore che si risente.Con questo libro Ginevra Lamberti s’infila tra le maglie del dolore arrivando, a tratti, persino a farci parecchio ridere.
Devo confessare che Ginevra mi è stata molto vicina nelle mie giornate nere nere di dolore del 2016. Una vicinanza, la sua, fatta di like e cuori sui social in quei giorni più neri della fine del mondo. Sono passati tre lunghissimi anni da quei giorni e attraverso le risate di questo libro mi ha restituito ancora altri respiri, altri respiri allargati nel leggere Perché comincio dalla fine.