Esce domani nelle librerie Viaggio in Italia dello scultore Antonio Canova, a cura di Dario Borso, per i tipi di Prospero Editore. Il libro dà conto del viaggio – della durata di nove mesi – intrapreso da un giovane Canova nel 1799, partendo da Venezia alla volta di Bologna, Firenze, Roma e Napoli. Da questo diario di viaggio emerge la figura del grande artista, desideroso di conoscere non solo i capolavori della scultura italici, ma anche della pittura rinascimentale e barocca, oltre che attratto e curioso dalla cucina e dai piatti delle diverse tradizioni culinarie, dalle chiese, dalle osterie e dai salotti nobiliari. Viaggio in Italia rappresenta una straordinaria occasione di scoprire uno dei più grandi artisti italiani ma, anche, di “attraversare” e vedere l’Italia per come si presentava agli occhi del grande Canova.
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3 aprile 1780 Roma
Stamattina mi recai con Fontaine da un suo amico e paesano di professione medico. Andammo poi insieme a vedere la cavalcata del Papa fino alla Minerva. Questa cavalcata è una cosa bellissima, maestosa e ricca; davanti a cavallo si vedono le guardie graziosamente vestite e molti ufficiali svizzeri; i cavalli, chiamati chinee, tengono sulla groppa una bellissima gualdrappa con l’arma del Papa vivente. Si vedono tutti i mazzolari pure a cavallo con la mazza dei loro cardinali, cosa molto bella; tutti i gentiluomini di camera; Principi con i loro paggi, entrambi graziosamente e riccamente vestiti. Si vede poi il Papa a cavallo con molta maestà e circondato da assistenti; dopo lui vengono dei carrozzoni per tutto quanto potesse occorrergli e portantine riccamente fatte; poi tutti i cardinali a cavallo di mule e con un cappellino di seta in testa; dopo ancora tutti i prelati vestiti riccamente, con una veste simile a quella dei cardinali che giunge a coprire quasi l’intero cavallo. Insomma, una cosa molto ricca e pomposa.
Dopo pranzo rimasi a casa. La sera andai al Campidoglio con l’Ambasciatore e la dama a vedere le statue con le torce, poi finii nella bottega del Veneziano.
4 aprile 1780 Roma
Stamattina iniziai ad andare all’Accademia in Campidoglio, ma non parendomi buona la posa, mi misi a contornare invece che modellare. Tornato a casa, volevo far portare il cavalletto a San Pietro per iniziare l’Apollo, ma il maggiordomo ha detto all’abate Foschi che vuole sapere prima più chiaramente cosa significa modellare e teme che sia eguale a formare, dunque perciò non andai.
Dopo pranzo feci qualcosa a casa sino all’ora di vestirmi per andare alla festa dell’ambasciatore di Spagna. Questa festa era molto piena di popolo ma polito, in due sale si ballava, una riccamente abbigliata; si poteva passare per le molte camere dell’appartamento che danno tutte sul cortile. In due di esse c’era il bigliardo, in quattro davano rinfresco a tutti (vidi biscotterie e gelati). L’Arciduchessa ballava con grazia, vestita riccamente e di un buon gusto davvero conveniente con il suo carattere in occasione di una festa da ballo. Girai sino alle cinque, poi andai a casa con l’Ambasciatore in carrozza, altrimenti mi sarei trovato in imbarazzo perché faceva vento ed ero coperto con una mantelletta di seta che mi pareva di essere in camicia.
5 aprile 1780 Roma
Oggi prima all’Accademia in Campidoglio, poi con Fontaine a trovare il suo amico medico, e tutti tre insieme c’incamminammo verso via Appia, la via costruita da Appio Claudio Cieco detta la regina delle strade perché era la più bella di tutte, e piena di sepolcri, palazzi e altre fabbriche. Su questa via che andava sino a Capua, prima di giungere alla porta di San Sebastiano si trovano due chiese, ma senza cose interessanti dentro. Vicino si vede il circo di Caracalla, e presso la porta di San Sebastiano c’è un arco trionfale di ordine corinzio, dicono fatto fare per la vittoria riportata da Orazio contro i Curiazi.
Fuori di questa porta si trova la cappella rotonda del Domine quo vadis, dove si dice che Cristo comparì a San Pietro e quando scomparve lasciò l’impronta dei suoi piedi su una pietra. Da lì si giunge poi alla chiesa di San Sebastiano, che è semplice, a una sola navata; di raro non vidi nulla, nella facciata quattro colonne di granito che sostengono gli archi dell’atrio. Vidi le catacombe ma dentro non andai; vicino a questa chiesa c’è un avanzo del sepolcro della sorella di Orazio uccisa da lui.
Si cammina sino a Capo di Bove dove c’è il famoso sepolcro di Cecilia Metella, rotondo, in alto merlato come una torre con cornicione, fregio e architrave; nel fregio teste e festoni, come già si può vedere dalla copia a Ca’ Farsetti. In questo luogo c’è un pezzo di terreno murato, e suonando si sente l’eco otto volte.
Tornammo a casa, e dopo pranzo disegnai; la sera andai all’opera al Teatro D’Aliberti, era prima recita e rappresentavano l’Antigona del Boemo; il primo musico era Sortorino, di abilità competente, tenore Ansani e ballerini Viganò e donna Tantin; il primo ballo rappresentava La caccia di Enrico IV, il secondo buffo, ma tanto non incontrarono né l’opera né i balli.