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Antonio Vangone. Bosco

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In una recente intervista apparsa su Repubblica, lo scrittore norvegese Jon Fosse ha dichiarato guerra alla specificità. Quando può, ha detto, preferisce chiamare i suoi personaggi “il padre”, “la madre”, “il fratello”.

Se proprio è costretto, dalle esigenze narrative, a nominare allora tutti sono Hans, tutti Johannes.

Al contrario di Ellis che invece adora elencare etichette, aziende e marchi, per Fosse una sigaretta è una sigaretta, una maglietta è una maglietta, non è necessario altro perché ciò che importa, per Fosse come per Antonio Vangone, è il cuore della narrazione, ovvero quel viaggio in profondità alla ricerca di quel bisogno di raccontare che va al di là dei fatti e la trama, la storia, è un pretesto, uno strumento minimo, per darci una piccola spinta ancora a scavare.

Non a caso la raccolta di racconti che Vangone ha pubblicato per Déclic edizioni si intitola Bosco, come quell’archetipo che, in letteratura, per eccellenza, rappresenta l’inconscio dell’uomo. Perché il bosco è un luogo buio, incerto, dove ogni ombra sembra un fantasma, ma è anche foriero di grandi scoperte; l’attraversamento del bosco ci restituisce sempre un eroe cambiato.

E la sua battaglia contro la specificità, a me sembra, che l’abbia ingaggiata anche Carlo Sperduti editore e fondatore di Déclic edizioni perché i loro libri, per scelta, non hanno i nomi degli autori sulle copertine e anche i titoli, quando sono presenti, vanno un po’ decifrati come a dire che un libro è sempre un libro e per sapere di cosa si tratta il lettore dovrà quantomeno aprirlo, svestirlo, scoprirlo e addentrarsi tra i suoi misteri.

Finalista al premio Raduga, con racconti pubblicati su Split, su Pastrengo, Risme e altre riviste letterarie, Vangone è uno scrittore di forma, più che di contenuti. Il suo obiettivo è la lingua, la manipolazione del linguaggio, lo studio dei limiti dell’espressione. Per darci dei confini di ragionamento, Vangone assomiglia più a Barthelme che a Soriano o a Castillo.

Le sue storie, a volte visionarie e mai convenzionali, si concentrano su particolari apparentemente marginali rispetto a qualcosa di più grande che solo si avverte. In Bosco troviamo racconti brevi, brevissimi, altri in forma di poesia. Due racconti, mi sento di citare perché bellissimi: Scavare la terra rossa e Leggere di nascosto, sarebbero piaciuti a Wallace e non ho altro da aggiungere.

Pierangelo Consoli

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Antonio Vangone, Bosco, Déclic edizioni 2024, Pp.96, Euro 14

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