“La volontà di un fanciullo è la volontà del vento, e i pensieri
dei giovani sono molto, molto remoti”.
Longfellow
“Ma ogni notte, giunge la verità assieme alle tenebre”.
Herman Melville, La veranda
“E se ci fossero lampade da notte che
Attirano i fantasmi invece di tenerli lontani?”
Fritz Leiber
Negli anni ho avuto modo di frequentare diverse case e ci sono sempre entrato con il mio vestito. Nell’abitazione di Mrs. Gant a Jefferson, o meglio nella stanza da sarta di Mrs. e Miss Zilphia Gant, di quattro metri per quattro nel capoluogo della contea, ho visto una sedia logora ai piedi di una finestra, l’avidità del corpo crescere in una nubile e molte cose necessarie di cui una buona ragazza ancora oggi dovrebbe andare fiera. Ho visto insomma tutto un mondo farsi strada e indietreggiare, e lasciare sulle persone, sulle donne che ne erano le protagoniste, una specie di polvere, di peso, un’impronta.
In un’altra casa presa a poco e parecchio isolata, lontana dalla strada principale che fa pensare ai luoghi inglesi, ho avuto modo di osservare una camera con la carta da parati gialla. Seguire una donna nella sua intimità, percepirne gli stati d’animo e apparirmi in un certo modo del tutto chiari, fruibili, come i piccoli gesti delle dita che cercano le dita o le oscillazioni della sua testa.
Ho visto una tenebra, che fa davvero orrore, ho rivisto certe poesie di Edgar Lee Masters e radici di immagini e simboli; cose che si sono stratificate dentro di me e che vedo ancora.
In questo libro Cuori affamati di Anzia Yezierska, edito da Mattioli 1885, (traduzione di Livio Crescenzi e Marta Viazzioli) ho ritrovato molta di quella forza d’animo, di quelle donne, di quella profondità interiore non comune che permette al lettore di vedere come ravvicinato il sacrificio che la vita impone. Il sacrificio che permea tutto e che impedisce di scorgere ogni altra cosa.
“Il cuore mi soffoca in petto come in prigione. Morivo dalla voglia di innamorarmi, e invece non trovo nessuno… nessuno. […] Era un luminoso pomeriggio di una domenica di maggio, e nel melanconico grigiore del sottoscala del portiere, un timido raggio di sole annunciava l’arrivo della primavera”.
E così, se avessi potuto scegliere, in una di queste case o di questi sottoscala o bottegucce di provincia, avrei voluto conoscere Anzia Yezierska, l’avrei voluto nell’intimità dei suoi giorni, per sorprenderla nelle sue cose, parlare con lei , sapendo che la porta si sarebbe chiusa all’istante con la rapidità di un fulmine e che le parole sarebbero uscite appena appena sotto il suo sguardo solitario di fuoco.
La grande lezione che ho imparato da queste pagine è che esiste una ragione per la fedeltà al proprio essere, o comunque un qualcosa che dà un senso alla propria vita: e si tratta che i pensieri che ci riguardano li abbiamo scritti tutti da soli.
Il mondo che abbiamo sapientemente costruito, che abbiamo lasciato agire intorno a noi, quell’assaggio come lo chiamava Philip Roth, buono, insipido o cattivo, l’abbiamo comunque dato, e l’abbiamo preso da dentro di noi.
“Quanto ero felice di non essermi fermata al semplice guscio – un buon lavoro e una vita decente – ma d’essermi spinta avanti, oltre le barriere del materialismo. Grazie al mio muto brancolare e alla mia confusa ricerca, alla fine, avevo trovato l’anima, lo spirito dell’America”.
Non c’è più umanità nei bassifondi, c’è più fame; e ce lo ricorda una voce tra la pagine: “ogni respiro che tiravo era un respiro di paura, ogni ombra uno spavento soffocante, ogni passo, pesante come lo stivale di un cosacco, mi opprimeva il cuore”.
Ognuno scrive partendo dalle proprie radici e la formazione avviene negli anni, si deposita sopra lo scrittore e poi tutto spinge e vuole uscire, “in uno scambio di dominio, in uno squilibrio perenne” (Philip Roth).
Il “modo in cui un autore può scrivere – affermava Clifford D. Simak – dipende da ciò che ha contribuito a forgiare la sua vita e la sua filosofia”.
Io credo che i fattori che più contribuiscono a fare dello scrittore un grande scrittore, ciò che è, siano quelli cui è stato esposto durante i primi vent’anni della sua vita, e ciò per cui ha lottato. Così io credo che resterà dentro di me questo modo di scrivere, questo desiderio di uscire allo scoperto che Anzia Yezierska mi ha trasmesso, queste sue parole così chiare: “Non ha mai considerato che potessi avere un’anima. Non capiva quanto desiderassi la bellezza e la pulizia”.
Portiamo con noi solamente quello che possiamo. Il resto cerchiamo di dimenticarlo. Ci riusciamo e le vecchie cose, la vecchia casa in cui abitavamo, le porte che abbiamo chiuso alle nostre spalle, stanno lì a segnare la distanza che abbiamo percorso. Non abbiamo mai avuto bisogno di vivere ammassati nei nostri ricordi. Abbiamo questo pezzo di vita ed è dura, ed è la cosa più bella della vita.
Edoardo M. Rizzoli
Riferimenti
William Faulkner, Una rosa per Emily, Adelphi
Charlotte Perkins Gilman, La carta da parati gialla, La Vita Felice
Philip Roth, L’animale morente, Einaudi
Recensione al libro Cuori affamati di Anzia Yezierska, Mattioli 1885, traduzione di Livio Crescenzi e Marta Viazzoli, euro 16.