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Ariel Fonseca Rivero anteprima. Fine del cammino

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Nelle librerie dal 7 giugno, Fine del cammino dell’autore cubano Ariel Fonseca Rivero è un libro di racconti e sarà uno dei primi due titoli della nuova collana Azùcar per Oligo, collana ideata e diretta dallo scrittore e giornalista Davide Barilli che così la presenta:

Volumetti da “bolsillo” (da tasca) che presentano al lettore italiano una Cuba inedita, al di là di ogni ideologia o contro ideologia, attraverso le storie di autori per nulla o poco conosciuti nel nostro Paese. Pubblicheremo libri di scrittori viventi, di varie generazioni, allo scopo di dare una panoramica dell’attuale narrativa cubana.”

Sono undici i racconti presenti e, benché le trame e i protagonisti siano differenti tra loro, in ciascuno di essi troviamo caratteristiche e sentimenti similari. Quasi un filo conduttore che, iniziato con il primo racconto, non sembra voler terminare alla fine del libro ma desidera invece lanciare con forza la prospettiva di vita qui narrata ben oltre l’ultima pagina. Per palesarla. Perché l’energia di quanto raccontato possa diventare condivisibile agli occhi di molti.

Non c’è colore nella quotidianità dei protagonisti e la loro voce non riesce a trovare il suono giusto per propagarsi verso l’esterno ed essere udita: rimane così aggrappata alla gola in un grido muto che raramente troverà la via verso l’interlocutore, tanto che spesso diviene solo un urlo interiore senza forza, senza respiro. Senza peso.

Un giorno esploderò: ma finisco per convincermi che non ne vale la pena. Non so cosa farò quando non ce la farò più”.

Le vite di tutti loro sono scandite da greve apatia, uno scoramento profondo dell’animo che li fa vacillare nelle loro esistenze. Non riescono a muoversi con comportamenti costruttivi che permettano loro di trasformare e rinnovare se stessi e la loro quotidianità. Mostrano un’infinita stanchezza psicologica, un vasto e profondo stordimento che sottende ogni loro azione o, meglio, ogni loro azione mancata. Il desiderio rimane in divenire e mostra l’evidente incapacità di agire per raggiungere lo scopo: nessuno dei protagonisti qui raccontati sembra essere infatti responsabile dei propri gesti e nessuno di essi passa all’azione per una precisa scelta personale, ma sempre e solo a seguito di una richiesta, per lo più implicita, di chi gli è accanto. In alcuni racconti, poi, l’interprete non è neppure identificato con il nome proprio, a evidenziare e sottolineare ancor più che sulla pagina si sta mettendo in scena un sentimento intimo generalizzato che include un’intera generazione e ogni altro essere umano: fino ad assorbirli tutti.

L’immobilità è indubbiamente il grande collante di tutte le loro esistenze.

In Ramon, per esempio, dove si narra di un amore finalmente realizzato – o più precisamente, che sembra essere realizzato visto il sottile confine con l’ossessione – l’autore però sceglie anche in questa occasione di far percepire al lettore la disperazione, poiché la moglie è morta e ciò che emerge è lo struggimento e l’impossibilità per il protagonista di sentirsi libero in casa propria, a causa della famiglia del figlio.

E di fatto è proprio nella dolorosa mancanza di libertà, all’apparenza mai consapevole, che si congiungono in una solida catena tutti i racconti di Fine del cammino, strettamente uniti nella grande impotenza degli uomini e delle donne raccontate. Uniti da quel legame, quel filo di connessione lanciato oltre le pagine che si è fortificato, giorno dopo giorno, e che non sembra dare speranza alcuna nel futuro.

Non posso resistere un altro minuto, ma non mi arrendo, vincerò un altro giorno, e un altro, e un altro, e un altro. (..) Ci baciamo e cerchiamo di dormire. Domani ricominceremo tutto daccapo”.

Chiara Gilardi

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Tornare a casa dal lavoro e vedere sul balcone una donna appassita.

«Come è andato il lavoro?» mi chiede. Come non sapesse che ogni giorno passa senza che mi succeda nulla.

Scopare, scopare, scopare; è l’unica cosa a cui pensa. Ma noi non lo facciamo più; sono sempre così stanco.

Mentire e dirle che sono andato con un’altra; sarebbe meglio dirle così che confessarle che non mi eccita

«Non mi ecciti più». Deve fare male sentirsi dire che il desiderio è passato con il tempo, che passa­ no giorni senza che abbia voglia di guardarla. D’ al­ tra parte, gli occhi non mentono.

Al mattino mi sveglio sempre con le sue urla.

«Hector, alzati».

Mi rigiro nel letto.

« Cazzo, è la stessa cosa ogni giorno».

Vorrei aprire gli occhi, ma la stanchezza me lo impedisce.

«Sono stufa, non ne posso più, ne ho piene le tasche di questa situazione».

Continuo a tenere gli occhi chiusi, fino a che lei non scuote il letto e ricomincia a gridare nell’orecchio sempre più forte. Non ho altra scelta che cede­ re. Vado in bagno, apro la manopola e faccio scorrere l’acqua. Mi bagno il viso, i capelli.

«Ehi, guarda in che stato hai ridotto il pavimento, che razza di casino stai facendo!»

Lavarmi la bocca, più volte, sorridendo davanti allo specchio per controllare che anche i denti abbiano superato la prova. Vestirmi: un processo che mi ruba almeno mezz’ora. Colazione: due pezzi di pane tostato ben bruciato e una brocca di latte già raffreddato.

«Vuoi che te lo riscaldi?» la bacio e me ne vado.

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Ariel Fonseca Rivero, Fine del cammino, Oligo, tr. Davide Barilli, pp 90, euro 13,00.

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