In verità, dire che, quando recito le mie preghiere, prego è dire niente e tutto: non è sbagliato e non è neppure corretto. Di fatto, prego come so e come posso, e ormai non so e non posso fare diversamente, perché nel corso degli anni sulle quattro preghiere in cui mi cimento si è depositata una tale quantità di materiali – pagliuzze d’oro, fili d’argento, perle lucenti, diamanti, rubini, smeraldi, lapislazzuli, opali e acquemarine ma anche pietre, sassi, sabbia, fondi di bicchiere, scorie di metalli, melma, fango e peggio – che non mi è facile recuperarle nella loro originaria purezza. A me, peraltro, va bene così e sono convinto che chi mi ascolta – e, anche se non ne sono più tanto sicuro come da bambino, qualcuno che mi ascolta c’è: per esempio Maria, il mio angelo custode e i miei morti – mi capisce. Se, sempre per esempio, ad ascoltarmi fosse Dio in persona, oso credere che dovrebbe essere, se non proprio contento, per lo meno pago di scoprire, sorprendendo tra le righe delle preghiere i miei pensieri, come ho speso il sacchettino dei talenti che mi ha dato: se mi avesse fatto contadino, gli avrei seminato tra le preghiere le mie considerazioni sul raccolto, sulla peronospora, sulla grandine, sul gelo e sull’oscillare dei prezzi della frutta e dei cereali, e invece, essendo quello che sono, gli smercio tra le preghiere, i frutti delle mie avventure mentali, che sono quelle di un letterato o, come si dice oggi, di un intellettuale.
Del resto, i miei propositi nel momento in cui inizio a pregare sono buoni: dire le preghiere, se non con il fervore di quando ero piccolo, almeno con il dovuto rispetto per il babbo, la mamma e la nonna che mi hanno sempre esortato a recitarle, e a recitarle bene, e anche per i vari destinatari, che sono il Padre che sta nei cieli, il Signore, che da bambino non capivo se fosse Gesù o lo stesso Padre che sta nei cieli, la Madonna, l’angelo custode e i miei morti. Però l’impegno quasi mai è all’altezza dei propositi e succede quello che succede.
Federico Roncoroni
Da Ave, Maria, Marcello Sensini Editore, Como, 2015, pp. 11-12.
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Federico Roncoroni è stata figura di riferimento per il mondo della lingua, della letteratura italiana e della didattica. Saggista, studioso di poeti e scrittori dell’Ottocento e del Novecento – D’Annunzio, Gadda e Chiara – è anche autore di opere di grandissimo successo come Testo e contesto, Il libro degli aforismi e La dimensione linguistica. Sua è la Grammatica italiana più adottata nelle scuole. Nel 2010 ha esordito nella narrativa con la raccolta di racconti Sillabario della memoria (Salani) poi, nel 2013 ha pubblicato il suo primo romanzo, Un giorno, altrove (Mondadori) e nel 2015 In principio era la Parola (Mondadori Scuola), una raccolta di racconti di passione linguistica, letteraria e libraria.
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Di seguito l’intervista sul suo libro: Ave, Maria.
Com’è nata l’idea di scrivere riguardo alla preghiera “Ave, Maria”?
Sono da sempre innamorato di Maria di Nazaret, la ragazzina di quattordici anni che si trova a vivere un’esperienza più grande di lei e una volta che ha accettato di farlo ne affronta le conseguenze per tutta la vita fino alla fine, paga soltanto di fare la volontà del suo Signore. Scrivere, da intellettuale laico quale solo, di lei e della sua preghiera, mi è venuto naturale.
La sua lettura dell’Ave, Maria è una lettura laica…
Sono un liberale laico o forse semplicemente un cristiano di poca fede, certo non un cattolico: la mia Maria ha poco a che fare con la Maria della Chiesa Cattolica imbalsamata in quattro dogmi, uno più assurdo dell’altro. La mia lettura della sua preghiera non può non essere libera e laica.
Sono rimasta molto colpita leggendo, dal suo ricordo d’infanzia riguardante il giorno in cui a scuola la maestra spiegò in classe che la preghiera in oggetto era divisa in due. Vuole raccontarcelo?
Allora, alle Elementari, prima di iniziare le lezioni si usava recitare, tutti in piedi, una preghiera. Un giorno, la maestra ci raccontò che l’«Ave, Maria» che recitavamo era costituita da due parti. Una in cui salutavamo la Madonna con le parole dell’Arcangelo Gabriele e di sua cugina Elisabetta. L’altra in cui invocavamo il suo aiuto. Per me fu una scoperta esaltante e l’inizio di un’analisi dell’«Ave, Maria» che non è mai finita: un’analisi tutta personale, lontana dalla teologia e forse anche dall’ortodossia.
La memoria gioca un ruolo di primo piano nell’ambito della sua narrazione. Nello specifico di questo suo libro, qual è il ricordo più presente in lei, quello che riaffiora per primo alla sua mente quando ha modo di parlarne?
L’«Ave, Maria» suscita in me ogni volta una valanga di memorie impastate, di emozioni, di pensieri, di sensazioni, di sogni e di ricordi, che rivivo sempre insieme all’immagine dei dipinti che rievocano Maria e insieme alla musica che Gounod e Schubert le hanno dedicato. Ma il ricordo più vivo che ho è quello della volta in cui certo sarei stato divorato da un Tirranosauro se non fossi riuscito a finire in tempo la sua preghiera.
Nel suo romanzo epistolare, intenso e bellissimo, intitolato Un giorno, altrove, si affronta una volta in più, attraverso le parole del protagonista, Filippo Linati, il tema della preghiera. Cosa significa per Federico Roncoroni pregare?
Pregare per me vuol dire ritrovarmi con me stesso e abbandonarmi liberamente a tutti i pensieri che mi attraversano la mente e che spesso poco hanno a che fare con la preghiera che vengo recitando. Mi perdo a tal punto che sono costretto, appena me ne rendo conto, a ricominciare tutto da capo. Anche una decina di volte.
Preghiera e cielo. Se le chiedessi di mettere in relazione queste due parole tra loro, cosa risponderebbe?
Ansia d’infinito. Desiderio di purezza e bellezza. Consapevolezza del Male e aspirazione al Bene. Bisogno di giustizia.
Nel suo libro di racconti intitolato Sillabario della memoria. Viaggio sentimentale tra le parole amate non ho trovato né la voce “preghiera”, né la voce “religione”. Ma ho trovato “nostalgia”. Qual è il luogo di cui Federico Roncoroni ha più nostalgia?
Non è un luogo nello spazio ma è un luogo nel tempo: quello in cui tutto era ancora possibile.
In Ave, Maria si legge a p. 62: “Leggo molto su Maria, la sua figura, la sua preghiera e la sua ‘fortuna’. O meglio, ho letto molto su quegli argomenti, perché delle cose e delle persone che amiamo è bello sapere tutto, ma ultimamente ho quasi smesso di farlo.” Le chiedo che cosa, di quanto letto, ha maggiormente riscosso il suo interesse.
Le omelie che San Bernardo di Chiaravalle ha dedicato, nel XII secolo, a Maria e i pensierini che in quarta elementare la mia nonna ha scritto nel 1898 sulla Madonna in quello che sembrerebbe essere stato un compitino in classe.
Quella finale è una domanda che ha a che fare con il tema di questa rubrica di parole e immagini: com’è oggi il cielo sopra Federico Roncoroni?
Vuoto.
(Intervista a cura di Silvia Castellani)