Capelli aggrovigliati e ribelli, sopracciglia incurvate come una scheggia divina, occhi penetranti, da cui sprigiona una luce che danza sull’orlo della follia: questo è Benjamín Labatut. Il genio ribelle con le braccia istoriate, l’astro nascente della divulgazione scientifica, noto a tutti per l’enorme successo del suo primo libro tradotto in Italia, “Quando abbiamo smesso di capire il mondo”, che nel 2022 gli è valso il premio letterario Galileo.
Dopo una breve opera intermedia, “La pietra della follia”, in cui Labatut, con la sua solita capacità di cogliere e interpretare le trame invisibili, ma robuste, che collegano i nodi della conoscenza umana, cominciava a introdurre i legami tra scienza, irrazionalità e malattia mentale, Adelphi pubblica, nel settembre del 2023, la sua ultima fatica, “Maniac”, avvalendosi della magistrale traduzione di Norman Gobetti.
Un saggio romanzato quanto mai appropriato, nell’anno di uscita del film “Oppenheimer” di Christopher Nolan, che racconta la vita del fisico teorico che ha diretto il progetto Manhattan e che è universalmente considerato il padre della bomba atomica.
Uno dei libri più emozionanti che, se siete dei cercatori insaziabili di verità e dei calderoni ribollenti di idee, vi capiterà mai di leggere.
Labatut lo struttura in tre parti:
• La prima -che funge da cappello introduttivo al punto di rottura che ha originato la scienza contemporanea-, sulla scoperta dell’irrazionale in Fisica, con la tormentata vita e il suicidio-omicidio del grande insegnante Paul Ehrenfest;
• La seconda – vero cuore pulsante del libro -, che sviluppa la biografia romanzata di uno dei più grandi matematici di tutti i tempi – il padre della struttura del computer così come oggi lo conosciamo, il co-fondatore, con Morgenstern, della Teoria dei giochi alla base delle scienze economiche e del comportamento umano, il primo a generare i concetti pionieristici di automa e di macchine replicanti, e a intravedere le connessioni tra la logica e il cervello umano, oltre a essere il principale consulente esterno, ancor prima, del Progetto Manhattan per la creazione della bomba atomica ( di cui calcolò anche l’altezza alla quale dovesse essere sganciata sugli obiettivi giapponesi, per poterne massimizzare i danni )-, un uomo in grado di incutere sgomento e timore reverenziale in chiunque lo incontrasse, bruciato da un maniacale e febbrile desiderio di penetrare il gheriglio della conoscenza umana tramite la pura potenza della logica: l’ungherese Janós – naturalizzato Johnny- Von Neumann. Il vero padre fondatore, insieme ad Alan Turing, di tutta la tecnologia contemporanea dei computer;
• Il pezzo finale, una chiusura che sigilla tutto il libro con un vero coup de maître, consentendo ai lettori di ricollegare tutto in un’elegante – quanto orrorifica e inquietante – trama di senso, in cui Labatut introduce l’antica favola cinese che narra la nascita del gioco del go, e le vite di uno dei suoi giocatori più leggendari, il Maestro sudcoreano 9^ Dan Lee Sedol, e dello scacchista e neuroscienziato Demis Hassabis, uno dei fondatori di Google DeepMind e di Alphago, per raccontare la partita che ha segnato una pietra miliare nella storia della scienza contemporanea: quella in cui, per la prima volta, un software di intelligenza artificiale avanzata è stato in grado di battere un essere umano in un gioco considerato, per più di tremila anni, come capace di trascendere ogni logica per sfiorare i cieli della creatività divina. In seguito, con un ulteriore perfezionamento, la squadra di DeepMind avrebbe creato un software che, utilizzando solo l’autoapprendimento e svincolandosi perciò dal “grossolano” database di policy fornito dalla plurimillenaria esperienza di gioco umana, sarebbe stato in grado di battere ogni altro essere umano o entità digitale al mondo sia nel go, sia negli scacchi, sia nel più complesso shōgi: Alphazero.
“Maniac” si rivela perciò un libro in grado, a cavallo tra realtà e finzione romanzesca, di farci compiere un viaggio indimenticabile per la mente, permettendoci di riflettere sul fatto che la conoscenza scientifica, con le sue basi logiche, ha permesso di generare – a ritmi che, soprattutto ad oggi, si fanno sempre più incalzanti e serrati – delle menti digitali che non sono più in grado di essere comprese pienamente e a fondo, nelle scelte che compiono, nemmeno dai loro creatori, e che sembrano capaci di spingersi oltre ogni limite immaginabile, forse anche di generare qualcosa di simile a un organismo incorporeo, dotato di sconfinata intelligenza, che comincia già ad assomigliare all’occhio cieco, e gelidamente vitreo, di una divinità annientatrice.
Giulia Casini ©