Lui era l’uomo dei sogni, l’uomo della rivolta contro la vita organizzata, irriducibile al capitalismo come implacabile avversario del socialismo reale, l’uomo che scrisse contro la incombente civiltà del consumi, l’uomo che immaginava un’umanità felice e pacifica senza bisogni, che scrisse personalmente ai più preminenti Capi di Stato perché venissero piantati alberi di frutta in ogni città perché la gente non dovesse mai più soffrire la fame. L’uomo che divenne il navigatore solitario par excellence che una volta scrisse da Tahiti: «nel mondo civile ci sono molti falsi dei e per me non c’è posto, desidero stare in mare perché in mare sono felice, trovo la mia pace interiore, profonda». L’uomo che gettò in mare il motore della barca perché navigasse più leggera, che per nutrirsi pescava, che si allenava a nuoto sulla scia della barca in pieno pacifico col rischio degli squali, l’uomo che adorava leggere Baudelaire, Verlaine e Rimbaud.
Bernard Moitessier nacque in Indocina nel 1925 da genitori francesi. Infanzia felice, scuola professionale, passione per la vela già da ragazzo. La fine del dominio francese in Indocina gettò il padre sul lastrico e indusse i tre figli ad arruolarsi nelle formazioni partigiane. Bernard ne rimase profondamente segnato, agli esiti della lotta contro l’occupazione giapponese uno dei suoi fratelli morì suicida.
Con Pierre Deshumeurs a bordo dello Snark, giovanissimo, solcò il mare di Giava sino al Mar Cinese. Fece naufragio con la Maria Therese, quindi con la Maria Therese ii si schiantò sugli scogli in Martinica. Fu di questo periodo la sua prima pubblicazione, Un vagabondo nei mari del sud, che riscosse un successo immediato. Lavorò in una nave da carico e raggiunse la Francia dove divenne informatore farmaceutico. In Francia costruì la barca che divenne un mito: Joshua (in onore di Joshua Slocum), un ketch di acciaio di 12 metri con la quale affrontò la Golden Globe Race del 1968. In Francia si sposò con Françoise. Con lei partì per le Antille, Panama, la Polinesia. Al ritorno, prima di doppiare Capo Horn, per sei giorni furono investiti da una tempesta eccezionale tra i 40° e i 50° di latitudine sud. Scrisse: «Vidi cavalloni di 150, 200 metri di altezza che rompevano senza interruzione per 200, 300 metri lasciando dietro un mare di spuma. Un delirio».
Gennaio 1968. Nel porto di Tolone, Bernard e Françoise stavano preparando la barca per un giro del mondo senza scalo, sulle orme di Chichester che l’aveva compiuto un anno prima, quando emissari del Sunday Times gli proposero di partecipare alla prima Golden Globe Race, che sarebbe rimasta da allora la regata più lunga della storia, l’evento sportivo più massacrante mai ideato prima. Una gara senza scalo passando per i tre oceani del pianeta, una regata con una durata di svariati mesi. Una regata che implicava la scalata dei tre punti più pericolosi del pianeta (Capo di Buona Speranza in Sud Africa, Capo Leeuwin in Australia e Capo Horn in Cile), un viaggio dritto verso l’inferno, almeno 30 mila miglia, che già ricoprì Sir Chichester, ma questa volta senza sosta, né assistenza. I rischi erano evidenti e reali, il ghiaccio poteva tagliare in due la barca, una balena farla capovolgere, un ciclone affondarla tra i marosi. Si poteva rompere l’albero o il timone, un container alla deriva poteva aprire una falla sullo scafo, si poteva anche essere immobilizzati nell’afa di una zona di risacca, una tempesta tropicale poteva scaraventare fuori dalla battagliola. Si poteva impazzire per la solitudine come per il terrore.
A tutti i partecipanti era permesso partire tra l’1 giugno e il 31 ottobre, da un porto inglese. Il premio previsto era di 5000 sterline (al valore attuale, pari a 85000 sterline).
La prima circumnavigazione fu compiuta da Joshua Slocum tra il 1895 e il 1898, nell’era moderna fu Francis Chichester che, dopo aver vinto nel 1960 la Transatlantic Race, nel 1966 compì il giro del mondo in nove mesi e un giorno con 226 giorni di navigazione.
Fu Knox-Johnston a coinvolgere il Sunday Times per indire la Golden Globe Race, dopo il clamore dell’impresa di Sir Chichester. Ecco i partecipanti: John Ridgway, 29 anni, scozzese, capitano dell’esercito britannico; Nigel Tetley, 45 anni, nato in Sudafrica, ma inglese d’adozione e capitano della Marina britannica; Bernard Moitessier, 45 anni, navigatore e scrittore francese, il solo vero navigatore; Robin Knox-Johnston, 28 anni, capitano della Marina mercantile britannica ed esperto di vela; Alex Carozzo, 36 anni, navigatore italiano, con all’attivo un attraversamento del Pacifico in solitario; Chay Blyth, 27 anni, scozzese, ex sergente dell’esercito britannico, con nessuna esperienza di navigazione a vela; Bill King, 57 anni, irlandese, agricoltore ed ex comandante di sottomarini della Marina britannica; Loic Fougeron, 42 anni, francese, manager di una ditta di motociclette a Casablanca;
Donald Crowhurst, 36 anni, inglese, tecnico elettronico, che decise di partecipare unicamente per il premio, spinto dalle gravi difficoltà economiche in cui versava la sua famiglia e la sua azienda.
L’1 giugno 1968 (cinque giorni prima dell’omicidio di Robert Kennedy, tre mesi dopo che era stato ucciso Martin Luther King), John Ridgway prese il largo da Inishmore, Irlanda. L’8 giugno fu la volta di Chay Blyth, Knox-Johnston prese il largo da Falmouth il 14 col suo Suhaili. Via via tutti gli altri. Moitessier partì da Plymouth col suo Joshua il 22 agosto. Era perplesso e scoraggiato dai risvolti commerciali della regata ma al contempo aveva bisogno di soldi.
Ridgway sbarcò dopo sei settimane a Recife, in Brasile, e si ritirò. Blyth cedette al largo del Sudafrica. Carozzo, al largo delle coste del Portogallo, fu afflitto da una ulcera allo stomaco e ricoverato. King disalberò al largo del Sudafrica e fu il quarto a lasciare la regata. Fougeron abbandonò la sfida nei pressi dell’Isola di Sant’Elena, con la barca in avaria. Tetley riuscì a percorrere tutto il tragitto e a risalire l’Atlantico in vantaggio, ma naufragò il 21 maggio a sole 1000 miglia dall’arrivo; si suicidò provato da questo fallimento nel 1972. Crowhurst si suicidò, gettandosi in mare a causa della frode che aveva costruito per cercare di vincere la corsa. La sua barca fu trovata alla deriva il 10 luglio del 1969.
Nove partecipanti, quattro si ritirarono, in due si suicidarono. Restavano Bernard Moitessier e Robin Knox-Johnston, gli unici che superarono l’inferno dei quaranta ruggenti. Per Bernard che apprese i dettagli tragici della regata dalle stazioni radio che via via incontra sotto costa, «il viaggio è tutto e la destinazione è nulla», mentre per Robin proprio il raggiungimento del traguardo, della “destinazione” era la ragione di ogni sacrificio.
Bernard raggiunse e doppiò il Capo di Buona Speranza il 20 ottobre 1968. Mentre stava lavorando in cambusa il Joshua andò a sbattere contro una nave perdendo il bompresso. Due giorni dopo il Joshua venne rovesciato da un’onda anomala. Doppiò Capo Horn il 5 febbraio 1969. Nella calma dell’Oceano Indiano, Moitessier quasi perse la testa, le notizie dei ritiri e dei suicidi da parte degli altri contendenti lo depressero profondamente e pensò veramente al suicidio. Ricorse allora allo yoga per un maggiore controllo mentale. L’intenzione di abbandonare la gara cominciò a profilarsi nella sua mente nell’Oceano Pacifico e superate le Isole Galápagos questa decisione ne uscì rafforzata. Doppiò Cape Horn quando una tempesta da sudest lo costrinse in direzione nord. La decisione del ritiro era presa, anche gli elementi della natura lo conducevano a questa scelta, quasi fosse l’esito irrefutabile di un’ordalia.
Dopo aver doppiato i tre capi, subìto la collisione con una nave, visto polverizzati gli oblò dall’impatto degli enormi frangenti, scuffiato ben tre volte tra ondate alte come palazzi, aver sofferto persino di allucinazioni dopo il passaggio di Capo Horn, Moitessier si ritrovò in vantaggio su Knox-Johnston e con una velocità di crociera nettamente superiore. Era consapevole della vittoria ma la decisione era presa: compiere un altro giro del mondo che significava il ritiro dalla regata quando era in chiaro vantaggio. Girò la prua e, mentre faceva rotta di nuovo verso sud, riuscì a lanciare un messaggio con una fionda sul ponte di un mercantile di passaggio dove scrisse: «È mia intenzione continuare la navigazione, senza fermarmi, verso le isole del pacifico, dove c’è sole in abbondanza e maggiore pace che in Europa. Vi prego di non pensare che questo sia il tentativo di battere un record. ‘Record’ è una parola molto stupida in mare. Continuo perché sono felice in mare, e forse anche per salvare la mia anima».
Robin Knox-Johnston, dopo 313 giorni di mare, è il primo e unico ad arrivare a Plymouth, aggiudicandosi il globo d’oro e la somma di 5.000 sterline, che devolse alla famiglia di Crowhurst.
Bernard scrisse: «Non sono ritornato in Europa perché in mare ero felice, perché vi avevo trovato la pace del mio spirito, una pace totale… Dopo Capo Horn, dopo l’immensa purezza di Capo Horn, l’esigenza di andare oltre divenne decisione, quella di giungere alla fine di me stesso».
Quella che oggi è un’impresa agonistica specializzata, fatta di gps, epirb, radar, satellitare, ecoscandaglio, cibi liofilizzati e abbigliamento iper tecnico, allora si traduceva in un sestante, una radio spesso solo ricevente, scorte alimentari immangiabili a lungo andare, libri e parecchio whisky stivato in cambusa.
Moitessier circumnavigò il globo per l’ennesima volta, doppiò per la seconda volta il Capo di Buona Speranza per immettersi di nuovo nell’Oceano Indiano, cumulando 37,455 miglia nautiche in 10 mesi in solitario. Decise però che ne aveva abbastanza e il 21 giugno 1969, attraccò a Tahiti, dove ritrovò sua moglie Françoise e una frotta di giornalisti increduli della sua scelta di ritirarsi. Ma proprio questa scelta drastica fece di Bernard un mito vivente del ’68 assieme a quello di Dubček e la Primavera di Praga, l’Università di Berkeley, assieme a Che Guevara, Ho Chi Minh, al Maggio francese, a Rudy il Rosso, assieme alle figure di Robert Kennedy, Martin Luther King e Malcom x.
Marcello Chinca Hosch