Due strade diverse: la scrittura creativa, viaggio verso il probabile piazzamento mercantile del proprio lavoro artistico; la scrittura desiderante, a volte comunicabile ma spesso impopolare, in-comprensibile, cripta del Soggetto opposta alla cattedrale dell’Io, al parco immenso dei seguaci che s’identifica nel capolavoro, s’immedesima, simpatizza, rassicurata. Scrittura desiderante come crudeltà, ambizione suicidale: per farla finita con il giudizio dell’Io, nel sacro terrore di restare soli nel silenzio dell’anonimato tra le altre cose del mondo, indifferente.
Il Viaggio iniziatico di Emanuele Trevi e Biografia del silenzio di Pablo d’Ors sono scrittura desiderante, comprensibile e vendibile perché frutto di un’etica, una meraviglia interiore, non di calcolo, esperienza che non è del feticcio-libro camuffato di buona, carina scrittura, equazione di mercato. Incomprensibile e faticosamente imitabile è l’esempio di ascolto che propongono: il viaggio in sé alla volta di sé stessi.
Entrambi scandalosi in tempi di classifiche e narcisismi, pensiero unico, estremo, travestito da libero sentire. Difficili percorsi solitari in tempi di sembianze, in nome della o delle Letterature, espansioni egoiche e economiche camuffate di buoni sentimenti e buoni libri. La letteratura, nella Biografia del silenzio, diventa addirittura un ostacolo al silenzio interiore, sorprendente ossimoro, cortocircuito che ci invita a stare in silenzio, seduti, fissando un muro, senza fare nulla, senza pensare, senza leggere, senza scrivere, la letteratura, ne Il Viaggio iniziatico, è lingua dell’individuo, i racconti relativi all’esperienze iniziatiche, non sono mai una teoria di metafisiche e filosofie astruse, abitano il corpo stesso del soggetto, i cambiamenti che avvengono nella percezione sensoriale di chi legge e di chi racconta, di chi ascolta, soprattutto. Libri unici sono quelli che parlano alla profonda lentezza del cambiamento inconscio, nei luoghi, estesi e interiori, della propria soggettività. Doppiamente scandalosi, sovversivi, in epoca di ammassamento omologante, di mascherate collettive, di conventicole affamate di Io, di normalizzazione.
Entrambi i libri propongono un’antropologia del silenzio e dell’interiorità, del cambiamento radicale, controcorrono i tempi e concedono una messa in scena che percorre l’individualità, non egoica, spazia dalla pratica meditativa di Pablo d’Ors a quella, nella scrittura di Trevi, di Griaule a colloquio con lo sciamano Ogotemmeli, l’esperienza dell’altra faccia delle cose di Artaud, l’esistenza fallita di Mircea Eliade.
Conclusione affascinante e difficilissima: la pratica letteraria come ultimo dei riti moderni: se il percorso è quello soggettivo del desiderio e non solo dell’ortopedia mercantile della grande creativa bellezza.