Raccontare chi era Maradona, per il suo papà, è una di quelle favole che voglio raccontare ai miei figli da prima che nascessero, da prima che io e mia moglie ci conoscessimo. È un sogno che serbo per il futuro, per il quale mi piacerebbe esserci ancora, per Francesca e soprattutto per mio figlio Renato.
Nel frattempo – lui ha due anni e lei quattro – gli canto le canzoni, quella di Manu Chao e soprattutto quella di Rodrigo Bueno, che sussurravo a entrambi da quando, in fasce, cercavo di addormentarli.
Francesca e Renato ascoltano, guardano distrattamente le partite e poi si annoiano e se ne vanno, ma intanto sorridono perché vedono una strana luce negli occhi del padre quando dice quella parola, quando dice Diego e alza i pugni al cielo e loro pure lo fanno, cercando di afferrare quella scintilla di felicità che rapidamente si spegne in malinconia.
Il 25 novembre di tre anni fa Maradona muore. In questa casa qualcosa si ferma, in molte case, moltissime case, qualcosa si ferma, la terra, il tempo, si fermano.
Per anni avevo cercato di spiegare perché lui fosse tanto diverso dagli altri calciatori, dagli altri atleti. Chi sciorinava statistiche e trofei mi faceva sorridere perché applicava rigori matematici alla poesia, perché voleva ingabbiare un sogno nella metrica triste dei numeri.
Con buona pace di tutti, mia moglie soprattutto che era stanca di vedermi arrabbiare per difendere Diego ogni volta arrivando a urlare persino, smisi di rispondere a chi lo sminuiva. Mi alzavo dal tavolo e andavo a fumare, ogni volta che si cominciava a parlare di lui, della droga e delle sue dichiarazioni, di come si era ridotto.
Quando morì, di getto, pensai che fosse arrivato il momento di spiegare a me per primo perché lo immaginavo tanto diverso, perché pensavo che con il calcio avesse a che fare ma non solo, perché era come Alì, il loro più grande dono, sono convinto, è stata la trasversalità. Come per Socrates.
Ronaldo, Messi, possono vincere più di lui, battere ogni record umanamente concepibile, ma saranno sempre e soltanto dei calciatori; fuori dal rettangolo non significano niente. Il punto è tutto lì. Essere sportivi ed essere anche favola. Diego era un animale politico, un fenomeno sociale.
Chiedi ad un bambino dello Zimbabwe cosa sia un forno a microonde e lui non lo sa, ma chiedigli di Maradona e gli brilleranno gli occhi.
C’è stato un treno, la protesta dei diecimila. Un treno all’alba che attraversò l’America Latina fino a Mar del Plata, con sopra Maradona, il presidente Chávez e Evo Morales. Tutti su un treno per protestare contro l’imperialismo americano. C’erano uomini politici, su quelle carrozze, capi di stato, leader di nazioni e Diego non stona, perché è uno di loro e la gente lo rispetta, quando parla di politica, di Bush, la gente tace e lo ascolta… mettici Messi, su quel treno e non saprebbe cosa dire, sarebbe goffo, e tutto finirebbe con l’assomigliare ad una stupida pubblicità della Coca Cola… Socrates era così: un intellettuale prestato al pallone, un medico che curava i poveri e calciava la palla, lui diede vita alla Democrazia Corinthiana, un uomo che ha cambiato con le sue idee un paese intero, più di Pelé, che era come Messi e Ronaldo, soltanto un grande giocatore.
Maradona era un campione perché era quel qualcosa che estratto dal tutto, rappresenta comunque il tutto.
Boris Sollazzo, giornalista e maradoniano, ha argomentato diffusamente quanto andavo penando e dicendo in un bel saggio dal titolo Diegopolitik, edito da Bibliotheka.
Un manifesto, più che un saggio, una dichiarazione d’amore, retorica talvolta come l’amore può essere quando è dilagante. Sollazzo non intende scrivere l’ennesima biografia del Pibe, ma provare a spiegare perché era così diverso, perché, come disse Lele Adani: è stato l’unico politico che ha mantenuto ciò che ha promesso: la gioia per tutti…
Non è questo un libro per chiunque, ma è un libro per tutti quegli amanti del calcio, che vogliono capire meglio il fenomeno Diego e per quei padri, come me, che un giorno vorranno provare a spiegare cosa aveva di tanto speciale questo argentino maledetto, dio sporco, disse di lui lo scrittore Galeano, peccatore… condannato a credersi Maradona e obbligato a essere il protagonista di ogni festa, il neonato a ogni battesimo, il morto a ogni veglia funebre… La fama che lo ha salvato dalla miseria, lo ha reso prigioniero.
Pierangelo Consoli
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Boris Sollazzo, Diegopolitik, Bibliotheka 2023, Pp. 301, euro 15.