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Byung-Chul Han, Eros in agonia (nuova prefazione di Alain Badiou)

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Qual è la sorte di Eros in tempi in cui il narcisismo domina la scena e impone l’evidenza dell’Inferno dell’Uguale? Eros è in agonia, stenta a trovare la formula che possa aprire la strada al Palcoscenico del Due caro a Alain Badiou – che ne aveva parlato in Elogio dell’amore e ora firma la prefazione alla ristampa di Byung-Chul Han (Eros in agonia, Nottetempo, pp. 96 – 14X20, euro 13, traduzione di Federica Buongiorno). Amore è una forza dirompente, una relazione asimmetrica che rompe il rapporto di scambio e trova nella sovversione e nella negatività la chiave per accedere all’esperienza dell’alterità assoluta. È necessario abbandonanarsi alla felicità dell’assenza-a-sé, entrare in un orizzonte di crisi – come spiega magnificamente Han nel primo capitolo, dedicato alla lettura di Melancholia di Lars von Trier – disperare e lasciarsi attraversare, impattare con quel pianeta che si affaccia enorme e terrificante, sempre più vicino e annichilente, ma infine catartico. Siamo però nella “società della stanchezza”, dove il soggetto narcisistico-depressivo mira solo alla prestazione e dove lo sfruttatore è lo sfruttato, consuma il mondo, decretando la fine del desiderio. Qui l’amore è ridotto a merce, tutto esposto feticisticamente e privato del mistero che custodisce la possibilità di contattare l’atopia dell’Altro, svincolandosi dalla preoccupazione per la nuda vita del servo hegeliano assolutizzata oggi dal capitalismo. “Lo spirito deve la sua vitalità proprio alla capacità di morire”, dice Han; e cita Bataille: “Dell’erotismo si può dire che è l’approvazione della vita fin dentro la morte”. Siamo quindi non morti, perché sopravviviamo, senza riuscire ad assaltare il regno minacciato dall’apocalisse, ma con cui dobbiamo fare i conti, anzi non dobbiamo proprio farli, quei conti, accettando invece l’azzardo e la contraddizione che garantiscono l’eternità del tempo, nell’amore; non nella pornografia che de-sacralizza e de-ritualizza ogni cosa. L’ipervisibilità conduce allo smantellamento di soglie e confini – telos della società della trasparenza – dove si annida Eros con le sue fantasie per l’Altro a cui non sappiamo più accedere.

Alain Badiou è convinto della necessità di quel Palcoscenico del Due, discusso da Han ma non pienamente accettato, e dunque così conclude la Prefazione a Eros in agonia:

«Io aprirò solo una pista: è proprio certo che alla concezione consumerista e contrattuale della relazione con l’altro si possa opporre solo la sublimità quasi inaccessibile di un’abolizione di sé capace di aprire l’accesso all’altro? Alla rozza positività della ripetitiva soddisfazione personale bisogna opporre la negatività assoluta? In fondo l’idea dell’oblatività in amore, della scomparsa di sé nell’altro, ha una storia lunga e gloriosa: quella dell’amore mistico per Dio, cosí come la si segue con passione nelle poesie di san Giovanni della Croce. Ma è opportuno, dopo la morte di Dio, proseguire su questa strada? È possibile che vi saremo costretti. Forse la prospettiva della costruzione di un mondo a partire dal Due dell’amore, mondo che non è piú né il mio né quello dell’Altro, ma la traccia, attraverso il “noi due” singolare, di un mondo per tutti, troverà da sé la sua via. Forse l’amore è solo transitoriamente la prova assoluta della negatività, l’oblatività del sé a vantaggio dell’altro. Non c’è, metaforicamente, una forma di “ultragauchismo” in ogni assunzione illimitata, assoluta, del negativo e dell’alterità? Forse la fedeltà amorosa è, materialmente, l’incrocio laborioso, attivo, universalmente valevole, di due oblii uniti a vantaggio di un reale condiviso. Resta il fatto che leggere il bel saggio di Byung-Chul Han è una delle migliori esperienze intellettuali possibili per partecipare lucidamente a una delle battaglie piú urgenti del momento: la difesa dell’amore, ossia, come voleva Rimbaud, la sua reinvenzione».

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