Le probabilità di sedersi accanto a due modelle, io B e loro A e C, erano molto alte in quel volo per Kiev. Invece C era una signora che ripuliva con l’indice della mano destra quattro denti d’oro, incurante delle raccomandazioni anti-contagio, mentre A era un signore indiano con un odore misto di cumino e zafferano.
Ogni volta che A si muoveva mi veniva fame, e ogni volta che C rigava le capsule con l’unghia mi passava l’appetito.
I modi di A, rispetto a quelli della donna con le pepite in bocca, erano molto garbati. Mi ha raccontato di essere un ingegnere e mi ha mostrato le foto dei suoi colleghi. È anche padre di due figlie che vivono e lavorano a Londra (anche se nelle foto hanno meno di dieci anni) ed è marito di una moglie giovane ma immortalata su una pellicola fotografica Agfa anni Settanta che la fa sembrare vecchia.
Tutte cose che a me e alle settantadue modelle presenti sul volo interessano assai poco.
Poi c’è il Signore del Veneto, un sessantenne che il giro di boa l’ha compiuto già da un pezzo, ma ha ancora voglia di veleggiare.
Ha parlato per due ore in dialetto padovano/vicentino discutendo con la moglie dall’altra parte del cellulare: lui irritato per il ritardo del volo, lei con il problema delle scuole chiuse e dei nipotini a casa.
Alla partenza, il Signore del Veneto si concede un’ultima chiamata, scandendo, in perfetto italiano, le sue intenzioni no limits all’amante ucraina: «Sono a bordo. Stiamo partendo. Perché dico stiamo? Perché ho con me il profumo. Quale? Quello che ti piace! E poi… tanta voglia di vederti».
Mi domandavo quale potesse mai essere quel profumo, e quale donna l’avrebbe mai potuto accettare in dono da un tipo con i pantaloni in velluto a coste, la tracolla e i capelli tinti color “rame intenso”.
Sicuramente una donna capace di vivere la realtà con cinismo e determinazione, ma forse anche una vera romantica che non bada alla bellezza e nemmeno alla sostanza, ma solo alle promesse.
Tra una domanda e una risposta, il Signor indiano si era addormentato con il menù sky food aperto sulle ginocchia, mentre la Signora con i denti d’oro stava tentando di estrarre una caccola per fortuna dal suo naso.
Mi pentii di non avere con me: l’iPad, un libro, un mazzo di carte, la Settimana Enigmistica, un’idea a cui dare forma.
Allacciare la cintura di sicurezza, riaprirla, riallacciarla, tavolino giù, tavolino su, nuvole, caos atmosferico, caos interiore, a gennaio il volo 752 dell’Ukraine International Airlines è stato abbattuto dalla difesa aerea iraniana, tendina abbassata e poi alzata, ancora nuvole. Mai un ufo là fuori che mi rapisca!
Quanto tempo ho perso volando? Non ricordo il mio primo aereo, ma il primo viaggio: ricordo quello.
Il mio primo viaggio aereo verso Buenos Aires… Avevo conservato nel sacchettino di carta per il vomito ogni gadget Alitalia: salvietta, tovagliolo triangolare, tappi per le orecchie, mascherina e persino due caramelle che non avevo mangiato durante il volo.
Duplicai ogni gadget al ritorno, da Buenos Aires a Roma, un paio di mesi dopo. Poi scesi a Fiumicino e buttai via tutto in un cestino per rifiuti.
Avevo capito che dentro il mio zaino non c’era più spazio per quei gadget, era stipato dei ricordi del popolo guaraní, pieno di frammenti di splendidi amici con cui avevo vissuto: la magia omeopatica, le rivendicazioni senza voce e senza media, i rituali sociali, i loro abbracci quando me ne andai, gli occhi umidi del salto delle cascate dell’Iguazú.
Lo stupore dell’andata, per l’accoglienza Alitalia, era rimasto tra le nuvole. La meraviglia del ritorno, per l’ospitalità dei guaraní, era atterrata nel cuore.
Non ero più lo stesso. Non ero più niente di quello che avevo pensato sarei stato.
Ora, una delle settantadue modelle attraversa quest’emozione, distraendomi.
Scorre il corridoio verso il bagno.
Non posso evitare di guardare i suoi glutei rotondi come un pianeta bianco intrappolato dentro un paio di leggings: un piccolo mondo innevato che sta andando a fare pipì.
Penso a quanta abilità ed eleganza occorra a una donna per pisciare in aereo.
Attraverso le pareti, vedo oltre con lo sguardo occulto e trapassante di un guaraní.
E la neve dei miei pensieri si scioglie.
Angelo Orazio Pregoni